Il viaggiatore che arriva a Niutaun, prima di ogni altra cosa, è colpito dalla presenza della gente. All’inizio è sorpreso dal numero delle persone che incontra, a tutte le ore del giorno; poi comincia a intuire i fili che le legano e allora a sorprenderlo è la qualità delle relazioni.
Un bambino, a Niutaun, non ha mai lo sguardo smarrito; sa dove si trova e dove guardare per trovare occhi che lo rassicurino. Ogni abitante sente di non essere solo; anzi, la solitudine è ricercata talvolta come un piacere di cui godere liberamente.
Il viaggiatore, anche in mezzo ai suoni, alle voci e ai movimenti più confusi, sente che ogni cosa ha un suo posto e contribuisce alla ricchezza e alla qualità dell’insieme.
Niutaun non ha avuto origine da un progetto, inteso come qualcosa proposto da un élite illuminata che è stato applicato dall’alto alla città. Il viaggiatore che chiede come è cominciato il cambiamento che ha prodotto l’armonia attuale si sente rispondere in maniera sempre diversa: chi dice che tutto è iniziato da un gruppo di donne che scelsero di fare il pane in casa con la farina proveniente da un’azienda agricola biologica sorta nelle immediate vicinanze; chi dice che fu il problema dell’acqua e la decisione di rifiutare le bottiglie di plastica, preferendo il filtraggio domestico; chi dice che il responsabile della rivoluzione è la prima famiglia che scelse di non avere l’automobile e che, dopo un periodo di compassionevole condiscendenza, scatenò la mania della bicicletta per i piccoli e quotidiani spostamenti.
Certo, i tempi del cambiamento sono stati lenti e non è possibile ricostruire la catena delle cause e degli effetti. Ogni scelta ne generò altre. Non solo. Una scelta fatta per senso di responsabilità verso le generazioni future ne generò altre fatte per tutelare i più deboli; una scelta fatta in nome della sicurezza ne generò altre che avevano come fine il gusto e la qualità della vita. Ciò che all’inizio stupiva, diventò abitudine, ma solo per preparare il terreno a nuovo stupore, a nuovi sguardi sul mondo e sulle cose, a nuove libertà.
Ogni generazione aveva un’idea diversa della libertà, ma il tempo ne ha fatta maturare una condivisa da tutti: la libertà di sentirsi utili, di ascoltare e di condividere, di servire.
Il racconto degli abitanti diventa un mito delle origini, dal quale emergono le figure eroiche ed esemplari di colui che tolse il sasso dalla strada affinché nessuno vi inciampasse o di quella persona che, di notte, imbiancò le pareti dei bagni pubblici.
Il viaggiatore ascolta curioso e, mentre riflette sulla capacità umana di mitizzare la realtà e la storia, è colpito dall’edificio più bello di Niutaun, un palazzo in cui evidentemente si sono impegnate le migliori energie, hanno collaborato le migliori menti e braccia, sono state utilizzate le più ampie risorse. Quando lo informano che si tratta della scuola pubblica, comincia a capire quale forza abbia permesso la nascita di Niutaun.
Se la scuola è l’edificio più bello significa che gli abitanti di questa città hanno scommesso sul futuro, sono stati capaci di puntare sulla pazienza e sulla profondità, anziché sulla gratificazione istantanea. Si racconta che il progetto della scuola nacque durante quella che è rimasta nella storia di Niutaun come la “notte dei desideri”: Non ci fu un’assemblea pubblica e neppure un consiglio comunale; accadde però che in molte famiglie, quella sera, si parlò dell’albero maestoso che era cresciuto nella piazza, quello che era chiamato “l’albero della comunità”. L’albero era nato da un seme di cui nessuno ricordava l’epoca ma cresciuto rigoglioso grazie alle cure che ogni cittadino gli aveva prestato, lungo i decenni, facendone il simbolo del bene comune.
Quella sera, nelle case di Niutaun, tra le persone che avevano saputo custodire i desideri come fossero piccole fiammelle, nacque il desiderio più grande: quello di fare per i bambini, per i ragazzi e per i giovani di Niutaun quello che era stato fatto per l’albero più importante della città. Pensarono allora che la scuola doveva diventare il cuore della città, il luogo in cui si semina, si sogna, si fatica, si attendono i frutti che altri, forse, dopo di noi, coglieranno.
Il viaggiatore a questo punto solitamente si siede. Ascolta. Riflette. Si chiede perché non ne avesse mai sentito parlare. Si domanda per quale motivo solo le brutte notizie si diffondano ovunque e rapidamente. Controlla l’annuario statistico dell’impero e scopre che i numeri c’erano sempre stati ma non li aveva saputi leggere, perché erano solo numeri oppure perché anche lui era condizionato a misurare il benessere con i soli dati economici.
Si chiede ancora se Niutaun sia replicabile e come fare a diffondere il bene, a renderlo credibile e desiderabile. Si potesse misurare il benessere, la felicità, la qualità della vita! Eppure a Niutaun non si sono messi d’accordo; sono partiti da strade diverse contagiandosi lungo il cammino. I piccoli desideri sono diventati obiettivi, poi scelte, in seguito scelte misurate e condivise, contagiose. Le scelte quotidiane hanno prodotto nuove narrazioni collettive nelle quali hanno trovato spazio anche i grandi desideri e l’ambizione più alta: una città in cui ognuno, anche il forestiero, l’ospite, il viaggiatore e il rifugiato, si sentono a casa propria e liberi di obbedire allo stupore.