Napolitano rieletto Presidente

Pdl e Lega esultano


Pd .. oh, ragassi, siam mica qui a scambiar Milanesi per Napoletani!!

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Non mi piace.
Non mi è mai piaciuto.
Perchè lo aveva chiarito subito, “sarò super partes” e Giorgio Napolitano, primo capo dello Stato ex Pci eletto coi voti della sola Unione di centrosinistra, intendeva “operare all’insegna delle più ampie convergenze” (discorso d’insediamento del 10/5/2006). Poi invita il futuro governo Prodi a “non distruggere gli atti di quello precedente” e “avviare un dialogo col centro destra sulla giustizia”. Sono i tempi delle legittime intercettazioni della Procura di Potenza e quelle illegali Telecom. Napolitano firma senza batter ciglio (“Non ho nulla da dire”, 15/9/2006) il decreto Mastella che ne dispone la distruzione.
La Consulta dichiarerà parzialmente illegittima quella formulazione.
Nei due anni di coabitazione con il governo di centro sinistra Napolitano uno dei temi spinosi è l’immigrazione. Napolitano assume posizioni già suggellate dalla legge Turco-Napolitano che ha istituito i Cpt, strutture bocciate anche in sede europea per violazione dei diritti umani, ma che lui continuerà a difendere (“Non sono dei lager”). Così esterna: “Chi viene in Italia riconosca le nostre regole” (5 sett. 2006). Ma ne ha anche su temi etici e diritti civili. Il capo dello Stato si erge a garante delle posizioni della Chiesa e del centro destra. Sul testamento biologico richiama la maggioranza a “scelte non partigiane su etica e famiglia” (20/11/2006) e “Trovare regole condivise con la Chiesa” (24/11/2006).
Quando scoppia il caso di Eluana Englaro, Napolitano farà muro alla smania del centro destra di cavalcare il caso facendo sapere però per tempo, con una lettera al governo, che non firmerà un decreto ai suoi occhi palesemente incostituzionale, dando all’esecutivo di riorganizzarsi presentando notte-tempo un disegno di legge identico al decreto. Napolitano la sera stessa ne autorizza la presentazione alle Camere.
E l’indulto di Mastella? Napolitano non si stancherà mai di denunciare il sovraffollamento delle carceri e le deprivazioni che comporta. Il ministro di Ceppaloni predispone un provvedimento generoso, votato da tutti (tranne che da Idv, Lega e Pdci), che liberò 30mila carcerati ed evitò che altrettanti finissero dentro, costringendo i magistrati a fare indagini e processi costosissimi per erogare pene meramente virtuali. Salvo poi scoprire sei mesi dopo che le carceri erano più piene di prima.

Durante il suo mandato Napolitano esercita un’influenza enorme sulla politica estera dell’Italia, spingendola in prima fila fra le missioni di “pace armata”, compresi Iraq, Afghanistan, Libia e Libano. Già dieci anni fa, da alto dirigente dei Ds, zittì la sinistra che protestava contro la guerra in Iraq (“No alla guerra è pura propaganda, reagire all’antiamericanismo”, 2003). Una volta eletto non si contano i moniti ad approvare e finanziare le missioni nei teatri del conflitto (“Chi sfida l’Onu desista”, “No a ritiri unilaterali”). Anche i tributi di sangue non gli fanno cambiare idea. Quando sei militari muoiono a Kabul (17/9/2009) dichiara il lutto nazionale, ma il giorno dopo chiude la porta ad ogni ipotesi di ritiro (“Nulla da rivedere in missione”, 18/9/2009). E commenta le manifestazioni contrarie in modo sprezzante: “Una becera e indegna manifestazione che non conta” (28/9/2009). Sulla Libia è Bossi a rivelare “Berlusconi non voleva la guerra, Napolitano sì” (Monza, 29/7/2011). Ma solo due anni prima aveva accolto più volte il leader libico col picchetto d’onore (“Gheddafi, utile conoscere la sua visione”, 6/10/2009). Qualcuno, poi, lo convince che non si possa starne fuori (“Libia, non possiamo sottrarci”, 21/3/2011). E si dichiara stupito, quando la Germania si sottrae (“Non capisco scelta della Merkel”, 30/3/2011).

Intanto a Prodi succede Berlusconi: “Bisogna garantire al Cavaliere la partecipazione politica”, così l’Ansa sintetizza nel titolo il senso del Quirinale per Silvio Berlusconi. L’ultimo favore, forse, è stato fare spallucce sulla questione dell’ineleggibilità, in barba alla legge (Sturzo, 1957) e alle 200mila firme raccolte da Micromega. Col centrodestra al governo restano le leggi vergogna, il legittimo impedimento e i tanti interventi per tenere in sella un Cavaliere ormai disarcionato. Emblematiche alcune risposte: “Non firmare? Non significa nulla, me lo ripresentano” (3/10/2009) risponde a chi lo supplica di non promulgare lo scudo fiscale di Tremonti che garantisce anonimato e di conseguenza impunibilità a mafiosi ed evasori. “Stop a processo breve? Faccio quello che posso”, risponde a una madre di una delle 32 vittime della strage di Viareggio del 2009. Si ricordano anche la finanziaria che raddoppia l’Iva a Sky, i pacchetti sicurezza Maroni con norme xenofobe, il decreto salve-liste del Pdl con tanto di viatico per Berlusconi: “Non era sostenibile l’esclusione del Pdl” (6/3/2010). Un mese dopo promulga il legittimo impedimento (legge 51 del 7/4/2010) che consente al solo presidente del Consiglio e ai suoi ministri di non comparire in aula per 18 mesi e far slittare i processi a carico verso la prescrizione. Napolitano firma nonostante fosse palesemente incostituzionale, come aveva già sancito la Consulta con due sentenze (nel 2001 sugli impedimenti accampati da Cesare Previti, nel 2008 bocciando il lodo Alfano). E sostiene davanti alle persone per bene che “non poteva fare altrimenti”.
Eppure si rifiuta di firmare il ddl sul welfare che estende l’arbitrato ai rapporti di lavoro. Poi un monito a distanza di 20 giorni toglie ogni dubbio: l’invito per i magistrati è a “non cedere a esposizioni dei media” e “fare autocritica” (27/4/2010). Ma saranno proprio dei giudici, quelli della Corte Costituzionale, a decretare la breve vita del provvedimento dichiarandone illegittima una parte (l’altra sarà cancellata dai cittadini con il referendum del giugno successivo).

Nel 2010, quando la pattuglia di Fini sfoltisce le file della maggioranza, il capo dello Stato si adopera direttamente per evitare la chiusura anticipata della legislatura (“Cercherò di evitare lo scioglimento della camere”, 23/12/2010) e consente a Berlusconi di reclutare i deputati che gli servono (“Da Berlusconi ipotesi di rafforzamento governo”,  16/3/2011).
Quando il governo viene bocciato sul rendiconto generale dello Stato Napolitano si precipita a chiarire che “Non c’è obbligo giuridico di dimissioni” (14/10/2011).  Poi Napolitano dal Colle si mobilita contro lo spread (“Mio dovere intervenire per evitare ora le urne”,  31/12/2011). E salva Berlusconi da un voto che lo avrebbe seppellito definitivamente, rendendo possibile quello che solo un anno prima non lo era, lo scivolo dei tecnici. Nel 2010 Napolitano lo aveva escluso tassativamente (“Non esistono governi tecnici”, 14/12/2010). Un anno dopo cambia idea e dal cilindro presidenziale tira fuori Monti, previa nomina a senatore a vita.

A questo punto si diletta con l’economia (“Non possiamo giocare con fallimento”, 15/11/2011) lancia l’alchimia istituzionale di un governo tecnico (“Non c’era spazio per crisi parlamentare”, 22/12/2012) salvo poi lanciare precisi (e inascoltati) moniti: “No tagli alla cieca, impatto su crescita”(31/1/2012), “Spending review ma no tagli indiscriminati” (1/5/2012), (“Esodati, tema da chiarire”, 1/5/2012), (“Spread inspiegabile, con Monti fiducia cresce”, 5/9/2012), (“Crisi, Italia farà sua parte”, 8/9/2012).
Nel frattempo esplode il fenomeno 5Stelle ma lui lo ignora e deplora (“Boom? Ricordo solo quello degli anni Settanta”, 8/5/2012), “Moralizzatori fanatici e distruttivi”, (“attenti a imprecare contro la casta, dietro c’è il buio di regimi totalitari”, Palermo 8/9/2011). Fa anche la sua parte nella spending review, ma il Quirinale continua a costare 624mila euro al giorno, 23mila l’ora (in un anno 240 milioni di euro, la Casa Bianca ne costa 136,5, l’Eliseo 112,5 e Buckingham Palace 57). Impossibile fare di più, così Napolitano decide di dare un segnale di persona: il 7 luglio dell’anno scorso una nota del Colle informa della sua rinuncia all’aumento di stipendio su base Istat. Si scoprirà poi che il risparmio era di 68 euro al mese, una rinuncia dal forte valore simbolico.

È cronaca di questi giorni: prima incarica Bersani senza risultato poi s’inventa i dieci saggi, tra i quali nemmeno una donna;  del resto, lo stesso Napolitano aveva lamentato davanti ai ragazzi delle scuole di Firenze che “a vedere le percentuali di donne elette in Parlamento in Italia cadono le braccia” (12/5/2011).
Infine nei sette anni di Presidenza si contrappone a più riprese alla magistratura, della quale presiede l’organo di autogoverno, “Si pongono con urgenza problemi di equilibrio istituzionale nei rapporti tra politica e magistratura ed esigenze di misure di riforma volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente” (17/12/2008), “non cedere al protagonismo dei media” (12/5/2008), (“Giustizia, Csm non è giudice costituzionale”,  1/7/2008), (“No a spettacolarizzazione dei processi”, 21/7/2008), (“No all’uso voyeristico delle intercettazioni”, 28/7/2008), “l’altamente dannoso protagonismo dei pm” e “la Magistratura si attenga alle sue funzioni” (27/8/2009) arrivando ad invitare il CSM a “discutere in modo equilibrato (…) e di fare un uso responsabile e prudente dell’istituto delle pratiche a tutela dei magistrati (…) il cui uso si giustifica solo quando è indispensabile garantire la credibilità dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso da attacchi cosi denigratori da mettere in dubbio l’imparziale esercizio della funzione giudiziaria e da far ritenere la sua soggezione a gravi condizionamenti” (Lettera Csm, 9/10/2009).
E adesso è ancora lì..
No, non mi piace, decisamente non mi è mai piaciuto.

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