Mercoledì sera ha avuto luogo il primo degli incontri sul ciclo Convivenza e Simbiosi tenuto dal geologo Mirco Poletto, che con una puntuale ed attenta esposizione ha man mano riportato dati incontestabili, considerazioni da manuale scientifico, prove documentate “delle colpe, degli errori, delle leggerezze” (come titolava una delle slide proiettate) che hanno portato alla tragedia annunciata del Vajont, e proprio per questo evitabile e proprio per questo ancor più scandalosa.
Ed è stata un’esposizione equilibrata, senza clamori e senza eccessi, nel tentativo di evidenziare, con la legittima competenza dell’esperto, solo e solamente gli aspetti tecnici e scientifici della vicenda, già questi più che sufficienti a sottolineare come la tecnica, per quanto sopraffina e progredita, rimane limitata se rimane fine a se stessa, presuntuoso monolite di autocelebrazione.
Nel caso del Vajont la diga, mirabile manufatto ingegneristico, la più alta del suo genere nel mondo al tempo, ha tenuto, non ha ceduto, ha retto i colpi e la furia della natura, ancora una volta ignorata e sottovalutata.
Ma ciò che stava attorno alla diga si è sbriciolato, ha ceduto alle sollecitazioni causate e imposte dalla costruzione della nuova diga, mostrando al mondo la colpevole incapacità di inserire armoniosamente un prodigio della tecnica umana nel contesto ambientale esistente, frutto di secolari, millenari adattamenti e sconvolgimenti, ben conosciuti dalla popolazione locale (già il nome del monte, Toc, è tutt’altro che casuale) ma del tutto ignorati dai presunti tecnici “ambientali” che allora diedero il benestare al progetto.
E diventa quasi banale ritrovare dietro a tutto questo la logica del profitto e dell’interesse sopra tutto e ad ogni costo.
I ripetuti e successivi rialzi dei limiti dell’invaso, le continue e sempre più affrettate prove di riempimento e svuotamento, hanno ESCLUSIVAMENTE motivi di interesse.
I segnali che la montagna lanciava venivano percepiti con l’ESCLUSIVO obiettivo di concludere l’affare, di togliersi la responsabilità: che fosse il soggetto privato della SADE o il soggetto pubblico dell’ENEL, i collaudi dovevano finire il prima possibile, senza alcuna possibilità di dubbio o ripensamento.
Il risultato si è scatenato il 9 ottobre del 1963.
Così ha commentato Gian Vito Graziano Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi: “Dopo il Vajont la storia italiana ci racconta di troppe altri morti e distruzioni, che negli ultimi tempi sembrano diventare persino frequenti. Dal 2009 ad oggi, negli ultimi 5 anni, dai 37 morti di Giampilieri, assistiamo con una frequenza allarmante ad alluvioni e frane, che coinvolgono il Paese da Nord a Sud, senza risparmiare città importanti, ricche ed industrializzate come Genova, aree altrettanto ricche e industrializzate come il Veneto, aree di grandi tradizioni storiche e culturali e di grande bellezza paesaggistica come la Toscana. Queste tragedie non sono figlie degli errori della scienza, ma dell’incuria e del saccheggio sistematico del nostro bel Paese, che non è in grado di darsi una prospettiva di futuro che vada oltre i problemi della finanza e dell’economia. E’ evidente che questo Paese ha necessità di uno sviluppo diverso che guardi alla cura del territorio tra le sue priorità. Noi geologi lo diciamo ormai da troppo tempo.”
“La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca a far le cose più abiette. Abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi.”
Charlie Chaplin, ne Il grande dittatore, 1940
http://www.sopravvissutivajont.org/chisiamo.asp
Prima della frana, i colpevoli silenzi e la criminale avidità della società elettrica. Dopo, il comportamento dello stato nei confronti dei superstiti e la corsa all’affare
Vajont, due volte tragedia