C’era una volta tanto tempo fa
un paese che non era ancor città
ma tentando di apparire bello e figo
pensò bene di chiamarsi Francenigo.
Or la sua gente onesta e laboriosa
davasi da fare sudando senza posa;
mal gl’incolse e un fato poco incline
appioppò loro a capoluogo Gaiarine.
Ciononostante il paese prosperava
e accanto a case condomini edificava,
metricubi qua e là coglieva ogni occasione
di sfruttare fino in fondo la febbre del mattone.
Si disse che del senno a posteriori
si puote riempir fossi e rogge ulteriori,
fatto sta che il paesotto di una volta
ebbe crescita sgraziata e malaccorta.
Tagliata a mezzo dall’asfalto di una strada
percorsa e affollata da rombante masnada,
dileggiata negli anni da operette occasionali
dissagrata man mano nei suoi spazi vitali.
Ma nelle brutte storie può capitar il peggio
se si unisce incapacità all’ottuso maneggio
e in un delirio di sconsiderata urbanizzazione
si onora il dio cemento con la cieca distruzione.
È l’apoteosi della ruspa e dello scavatore,
evoluto dragone maligno e demolitore
il Komazzù trancia, sgretola, frantuma,
le mura del ricordo nella polvere consuma.
Le pietre antiche di una casa son punto di memoria
le sue radici danno saggezza, raccontano una storia
così cantava un menestrello di tempi andati
spiegandoci la suggestione di quei significati.
Ma il Komazzù dilania, lacera, sbrana
cancella i residui della storia nostrana
rimpiazzandola con cieca e tonta indegnità
con qualsiasi opera spacciata d’utilità.
Or di eroici cavalieri non vi è quasi più notizia
e anche in Francenigo dilaga l’imperizia
ma se la notte è più buia prima dell’aurora
è l’ora del riscatto di un futuro che rincuora.
Rendiam domestico dunque il dragone ottuso
e della sua possente forza facciam oculato uso,
poiché sta scritto che chi cancella il suo passato
a riviverlo peggio poi nel futuro è condannato.