Venerdì 1° aprile 2011 si terrà la presentazione del libro
”Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” – (Ed. Aliberti) presso l’Auditorium della Regione in via Roma, 2 Pordenone alle ore 20.30.
Interverranno gli autori Giorgio BONGIOVANNI e Lorenzo BALDO insieme a Salvatore BORSELLINO, fratello del giudice ucciso da Cosa Nostra.
Info: tel. 0434 748798 – cell. 392-9801905
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Un lungo viaggio negli ultimi 57 giorni di vita di Paolo Borsellino. La sua corsa contro il tempo per individuare gli assassini di Giovanni Falcone. La consapevolezza del giudice della “trattativa” in corso tra mafia e Stato e la sua lotta incondizionata per opporvisi. Il dolore e la solitudine di un uomo fino all’estremo sacrificio. Dietro di lui l’accelerazione della strage di via D’Amelio per eliminare “l’ostacolo” a quel patto scellerato…
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«Sono ottimista poiché vedo che verso la mafia i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.»
Paolo Borsellino,19 Luglio 1992
.. e si potrebbe cominciare dal fondo. È infatti con questa frase del fratello Paolo che Salvatore Borsellino ha chiuso il suo incontro lo scorso venerdì 1 aprile, nella sala della regione di Pordenone.
Questa frase è contenuta nell’ultima lettera scritta da Paolo Borsellino, poche ore prima che morisse nell’attentato di Via d’Amelio, ed era destinata ad una preside ed ai ragazzi di un liceo di Padova in cui lui non era potuto andare qualche mese prima a causa degli eccessivi impegni.
Queste parole esprimono l’ultima speranza di un uomo che, come ci ha raccontato Salvatore, sapeva di essere “un morto che cammina” da quando, quasi due mesi prima, nella strage di Capaci aveva perso la vita il collega e amico fraterno Giovanni Falcone… Ma nonostante la consapevolezza della sua morte imminente, il giudice Borsellino riusciva a dirsi ottimista nei confronti della generazione di giovani che stava sbocciando… Davanti a queste parole, mi viene solo da dire: “speriamo di non averlo deluso”…
Ma torniamo al racconto della serata, caratterizzata dall’accento siculo e dai toni forti, senza mezze misure, usati da Salvatore Borsellino per far capire a noi, pubblico di una delle tante serate da lui e con lui organizzate per tutta Italia (per informazioni http://www.19luglio1992.com/ ), chi fosse Paolo Borsellino, e perché fu ucciso.
Arrivando alla serata, pensavo di essere di piuttosto preparato sull’argomento: mi sono documentato vedendo diversi documentari e leggendo molto di quello che mi capitava sottomano… Eppure le parole di Salvatore mi hanno colpito profondamente: faceva tenerezza il suo modo di raccontare, così intimo, riferendosi a uno dei miei eroi di sempre con un affettuoso “Paolo”, da buon fratello… Era quasi come sentire parlare Paolo Borsellino in prima persona… Ma forse, ancor più della sua somiglianza al fratello, le frasi di Salvatore lasciavano il segno, affilate come rasoi: «La strage di via d’Amelio è stata una strage di stato che ha originato i presupposti per la II repubblica, le cui fondamenta sono fatte di calce e sangue» queste sono state le sue prime parole… Mi chiedevo cosa si celasse dietro questa frase, quando Salvatore è partito rapidissimo a spiegarci di come Falcone e suo fratello, negli ultimi mesi della loro vita, si stessero dedicando non più (o non solo) alla mafia di Palermo fatta di sparatorie e omicidi, ma ai rapporti che quest’ultima aveva stretto con i centri del potere pubblico, a Roma: potremmo dire la mafia dei colletti bianchi, o dello Stato.
Paolo, dopo la morte di Falcone, passò gran parte del tempo ad ascoltare le testimonianze dei collaboratori di giustizia (non “pentiti”, ci tiene a precisare Salvatore), che per la prima volta non si limitavano a parlare di Cosa Nostra, ma fornivano al giudice anche sconcertanti rivelazioni sui legami tra la mafia e Roma…
«Sua moglie Agnese mi disse che in quel periodo, in quei 58 giorni trascorsi tra le stragi di Capaci e di via d’Amelio Paolo tornava a casa così sconvolto dagli incontri con gli interrogati che spesso mangiava e poi vomitava… E continuava a ripetere che doveva fare in fretta, che non aveva più tempo…»
Che cosa poteva sconvolgere a tal punto un giudice che da più di dieci anni ormai si batteva quotidianamente contro gli orrori di Cosa Nostra?
Naturalmente, le accuse di collusione mosse dai collaboratori di giustizia nei confronti di diverse personalità di spicco degli organismi statali (parlamento, magistratura, servizi segreti). Diversi sono i misteri ad oggi irrisolti a proposito della morte di Borsellino. In primis l’agenda rossa in cui il giudice scriveva tutto ciò che faceva, dalle testimonianze che ascoltava ai casi che trattava giorno per giorno: sparì misteriosamente il giorno della strage, portata via nella borsa del giudice dal capitano dei carabinieri Arcangioli (assolto da tutte le accuse con una sentenza a dir poco vergognosa). Ancora, la vicenda del primo Luglio, quando Paolo si trovava a Roma per ascoltare un pentito (Gaspare Mutolo) e improvvisamente gli arrivò una telefonata del neoeletto ministro degli interni Mancino, che gli diceva di raggiungerlo. Ci sono testimoni oculari che lo videro entrare nell’ufficio del ministro ed uscirne profondamente turbato. Mutolo disse che, al suo ritorno, «Il giudice era così nervoso da accendersi due sigarette contemporaneamente». Stranamente Mancino, sollecitato da Salvatore in una lettera aperta a raccontare cosa successe in quell’ufficio quel giorno, dice di non ricordarsi della visita di Paolo Borsellino, cosa alquanto improbabile in quanto in quei giorni il giudice era su tutti i giornali a causa del rischio di morte che correva, e oltretutto lo stesso Paolo testimonia in un’altra sua agenda l’avvenuto incontro col ministro…
Insomma, l’analisi di queste e di molte altre faccende strane accadute in quei mesi fanno pensare che in quel periodo, proprio quando Cosa Nostra era stato messa in ginocchio dal Maxiprocesso alla mafia che era stato organizzato e portato a termine grazie all’audacia di Falcone, Borsellino e degli altri membri del pool antimafia di Palermo (nonostante i mille ostacoli generati anche da una parte della magistratura), lo Stato anziché intervenire per dare alla mafia il colpo di grazia, abbandonò a sé stessi i due giudici, isolandoli dal sistema e rendendoli così troppo vulnerabili…
«Cosa accadde in quella stanza tra Paolo e il ministro Mancino?» La domanda posta da Salvatore non ha ancora trovato risposta, anche se l’unica ipotesi logica che si può sopravanzare è che in quel pomeriggio si trovano le cause della morte di Paolo Borsellino: perché forse, in quell’ufficio, a Borsellino fu chiesto di fermare le sue indagini, per far si che il “patto di non belligeranza” tra Stato e mafia potesse procedere indisturbato, in modo che Cosa Nostra, liberatasi dei suoi vecchi referenti politici (la DC,ormai bruciata), potesse trovare facilmente altri appoggi nella nuova Repubblica che stava per arrivare…
La risposta di Paolo è sotto gli occhi di tutti, e si legge nella strage di via d’Amelio…
Chiudo qui, anche se il racconto di Salvatore Borsellino è stato sicuramente ricco di tanti dettagli che qui non riesco a riportare (per approfondimenti visitate il sito sopra citato)… E vorrei farvi passare quello che questa coinvolgente e commovente serata ha regalato anche a me, terminando l’articolo con un’altra frase di Paolo Borsellino, che era parte del discorso da lui pronunciato ai funerali dell’amico fraterno Giovanni Falcone, e spiega benissimo il messaggio della serata di lunedì scorso, e del continuo viaggiare per l’Italia del fratello del Salvatore:
«La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.»
Paolo Borsellino