Ierisera a Villa Frova di Caneva, don Pierluigi Di Piazza – prete “di frontiera”, fondatore del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud) – ha presentato grazie all’iniziativa del GAS di Caneva, il suo ultimo libro “Compagni di strada – In cammino nella Chiesa della speranza” da dove emerge il suo sogno di una Chiesa povera e senza potere, libera e liberatrice, non clericale, femminile, democratica e pluralista.
Per delinearla ha scelto lo stile narrativo, del racconto di viaggio, insieme ad alcuni compagni di strada, credenti, non credenti e credenti in altre fedi – Margherita Hack, don Tonino Bello, don Puglisi, mons. Romero, il Dalai Lama, don Gallo, Eluana e Beppino Englaro e altri ancora –, che sono profeti e testimoni. Ciascuno “incarna” un valore, evangelico e laico allo stesso tempo: Margherita Hack, per esempio, la laicità ma anche l’etica dei non credenti. «Sono convinto – ha spiegato – della necessità di affermare e di praticare la laicità, la laicità autentica, libera dal confessionalismo, dall’integralismo e dal laicismo, perché ci possono essere posizioni di assolutismo in entrambe le posizioni, quindi di dipendenza, di chiusura, di ostilità. Invece la vera laicità libera la fede alla sua autenticità, come la vera fede favorisce e incoraggia la laicità. Mi sento laico, credente sempre in ricerca e prete. Per questo mi sono trovato a condividere l’etica dichiarata e vissuta da Margherita Hack sulla giustizia, l’accoglienza, la pace, i diritti civili, il superamento di ogni forma di discriminazione, esclusione e razzismo, l’attenzione e la premura per tutti gli esseri viventi, animali, piante e i diversi organismi. Margherita Hack diceva, in sintonia con me, che la fede è fede e che non si può dimostrare né che Dio esiste né che non esiste. Il rispetto quindi deve essere reciproco fra persone diverse per ispirazione ed itinerario, ma unite dal comune obiettivo di contribuire ad un mondo più giusto ed umano».
Un capitolo lo ha dedicato ad Eluana e Beppino Englaro, con cui ha condiviso un pezzo di strada, anche perché la parte finale della loro storia si è svolta ad Udine…
«Ho ricordato Eluana e Beppino per la necessità di liberare la storia delle persone dalle strumentalità del moralismo, della politica, della religione, perché l’incontro vero con la storia delle persone possa significare ascolto, rispetto, dialogo ricerca di strade possibili per poter contribuire a vivere, soffrire e morire nel modo più umano possibile».
Una riflessione l’ha dedicata anche ai “principi non negoziabili”…
«Negli ultimi anni la Chiesa, una Chiesa politica, e certa politica hanno fatto a gara a sostenersi nel dichiarare i principi non negoziabili, espressione che pare scomparsa con l’arrivo di papa Francesco, il quale ha affermato che l’espressione non gli piace, perché i valori sono tali e basta. Inoltre è grossolana nei contenuti e nel linguaggio: “non negoziabili” si riferisce ad una sorta di trattativa mercantile, sconveniente se riferita alla vita delle persone. E ancora più grave se si pensa che la Chiesa dovrebbe incontrare le persone con le loro storie diverse, ascoltare, curare, accompagnare, esprimere condivisione e incoraggiamento. La non negoziabilità annulla ogni possibilità di dialogo. Le questioni della bioetica, dell’inizio e del fine vita chiedono informazione e formazione, riferimenti etici profondi, rispetto della libertà delle persone, anche nell’accettare o rifiutare le cure, nel decidere riguardo alla morte. E questo non si pone contro Dio, ma si esprime alla sua presenza con una libertà consapevole e serena, con la fiducia e l’affidamento della vita, non solo di quella biologica, a lui, fonte e accoglienza della vita».
Un pensiero anche per il Concilio, riferimento che attraversa e permea ogni pagina del libro, a 50 anni di distanza..
«Lo spirito del Concilio ci sta davanti, l’impegno per il suo compimento dovrebbe vederci coinvolti, soprattutto su due dimensioni fondamentali: la Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia, di cui papa, vescovi, preti, religiosi e religiose sono una piccola parte con compiti specifici, non di superiorità e di distanza, ma di condivisione, di servizio. E poi il rapporto fra Chiesa e mondo: non di superiorità, di sospetto, di giudizio preventivo, bensì di attenzione, ascolto, apprendimento, dialogo, e poi orientamento, indicazione, insegnamento sempre rispettoso, di forte denuncia e giudizio su tutte quelle situazioni che opprimono, offendono e umiliano la dignità delle persone».
Nell’ultimo capitolo che titola “Una Chiesa che non ha paura e che guarda al futuro” sottolinea i gesti e le parole di Francesco..
«Certamente le parole e i gesti di Francesco incoraggiano tanti preti insieme a tante persone che in questi anni sono stati sospettati e criticati per il loro impegno nella società, per un rinnovamento di fondo della Chiesa. Sta spostando il baricentro dalla dottrina alla testimonianza, dall’istituzione alle relazioni, dalla preoccupazione organizzativa all’atteggiamento interiore».
Una riflessione infine sul tema della pace e della guerra..
«Nel ricordare quella che io definisco la prima tragedia mondiale il rispetto per le vittime, tutte le vittime non può far dimenticare le migliaia di soldati che sono stati processati e uccisi, anche sul Carso, perché si sono rifiutati di obbedire a comandi contro l’umanità: sono stati a lungo bollati come vigliacchi e disertori, per noi sono profetici testimoni di umanità e di pace; meritano di essere esplicitamente ricordati nella celebrazione della memoria! E l’individuazione delle diverse cause e delle chiare responsabilità lascia sempre aperta la grande questione del perché l’essere umano sia così facilmente disponibile alla violenza, alla guerra, all’uso delle armi, perché accetti gli ordini assurdi e disumani e non esprima l’obiezione di coscienza agli ordini che provocano morti, feriti, distruzioni. La Chiesa che si ispira a Gesù Cristo ha partecipato per secoli alla violenza armata degli eserciti, benedicendo armi sull’uno e l’altro fronte, con la presenza a sostegno dei soldati pronti all’assassinio dei nemici di preti in divisa, che celebravano messa, distribuivano particole e benedicevano con acqua santa gli assalti all’arma bianca.»
La chiusura con il ricordo delle parole di don Lorenzo Milani:
“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.“