Riprendiamoci il 2 Giugno

Il 2 giugno è la festa della Repubblica, ovvero della “res publica”, di ciò che a tutte e tutti appartiene. Una festa ormai da anni espropriata alle donne e agli uomini di questo Paese e trasformata in parata militare, come se questo fosse l’unico modo di rappresentare la Repubblica. 
MA LA REPUBBLICA SIAMO NOI: 
le donne e gli uomini che nella propria quotidianità ed in ogni territorio lottano per riappropriarsi dei beni comuni, per un welfare universale e servizi pubblici di qualità, per la dignità del lavoro e la fine della precarietà, per il diritto alla salute e all’abitare,
per l’istruzione, per una politica di pace.
Le parate militari non ci rappresentano, ci danno tristezza, non ci rallegrano.
Non festeggiano la vita e le istituzioni civili del popolo,
non dimostrano amicizia verso gli altri popoli.
Il 2 giugno è la nostra festa, la festa delle donne e degli uomini che si riconoscono nella Costituzione, che sancisce i diritti di tutte e di tutti, il diritto al lavoro,
all’istruzione, alla salute…, e il ripudio della guerra.
TROVIAMOCI IN PIAZZA
per dire che vogliamo un 2 GIUGNO DIVERSO, smilitarizzato,
in cui fare festa come cittadine e cittadini di:
- un paese diverso, accogliente, fondato sul rispetto, l’ascolto e il riconoscimento reciproco tra uomini e donne, tra native/i e migranti, tra “noi” e “gli altri”;
- un paese in cui i/le giovani possano avere un futuro e le persone anziane
una vita dignitosa e serena;
- un paese in cui i beni comuni – aria, acqua, terra, energia, il patrimonio storico, artistico e culturale, l’ambiente naturale, il paesaggio – restino fuori dalla logica di mercato;
- un paese che sappia affrontare i conflitti, interni e internazionali,
senza ricorrere all’uso della forza;
- un paese che investa non nelle armi e nella guerra,
ma nella cultura, la scuola, la salute, l’occupazione.

Donne in Nero di Padova
donneinnero.padova@gmail.com
http://controlaguerra.blogspot.it/
http://www.facebook.com/MilleeMillePensieriControLaGuerra

Occupy 2 giugno
Il 2 giugno, compleanno di una Repubblica che per Costituzione ripudia la guerra, è dal 1950 paradossalmente celebrato con una parata militare.

In assenza di dati ufficiali della Difesa – viva la trasparenza eh, ministro Di Paola – il Sole 24 Ore stima che quest’anno abbia un costo tra i 2,6 e i 2,9 milioni di euro, ma «si tratta di un bilancio preventivo, destinato a subire qualche lievitazione in fase di consuntivo».

Meno degli anni scorsi, si vanta il governo – e ci mancherebbe, aggiungo io.

Né Monti né Napolitano hanno finora sentito il bisogno di sospendere – almeno quest’anno di recessione acuta, almeno dopo i terremoti nel nord – questa inutile esibizione a metà tra il Sudamerica golpista e gli ex regimi dell’est sovietico.

Ce ne sarebbe abbastanza per sdraiarsi sul vialone dei Fori da stasera, e non andarsene fino al mattino del 3 giugno, no?

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/29/occupy-2-giugno/

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Nero.. Bianco.. Grigio?

Il boom economico è stato realizzato da una generazione di lavoratori, operai e imprenditori capaci di enorme coraggio, grande creatività e capacità di sopportazione della fatica, ma anche di semianalfabeti. Molti di quegli uomini, divenuti genitori, hanno trasferito nei figli la diffidenza nei confronti della cultura e della formazione. Sento spesso dire dai ragazzi del Nordest che i loro padri sono i primi a ritenere che il diploma serva solo per essere incorniciato, e che la vita lavorativa si costruisce con la pratica e l’esperienza, non con la cultura. Questo errore è alla base del declino economico che ha portato, in un terzo dei casi, a non poter passare alle nuove generazioni il comando di aziende create con sudore e ingegno, poi vendute o chiuse in cambio di un appartamento intestato ai figli. La bassa e cattiva scolarità è anche una delle cause che concorrono ad accrescere il tasso di disoccupazione giovanile. Le statistiche dicono infatti che oltre il 40 per cento dei giovani italiani in cerca di lavoro non possiede un diploma superiore, e solo il 20 per cento possiede un diploma di laurea (nel Regno Unito e in Francia sono più del doppio). Ciò è dovuto a un altro fenomeno tipicamente nostrano: il precoce abbandono scolastico, non adeguatamente contrastato dalle famiglie e dalla scuola stessa.


una delle fragilità del sistema risiede nei criteri di scelta dell’università.
In mancanza di idee chiare sulle scelte professionali (quando parlo con gli studenti dell’ultimo anno di scuola media superiore e dico loro che il criterio primario è la passione per una materia o per un mondo professionale, mi guardano sgomenti), qual è il criterio guida? Sovente è quello logistico …

Il secondo criterio è quello della continuità con l’attività svolta in famiglia …

Un terzo punto concerne la coerenza tra lavoro possibile e curriculum formativo …

L’ultimo punto è il diritto allo studio.
Per molti versi esso è ormai pienamente garantito in senso «sindacalese»: si pagano rette bassissime e le università sono presenti in ogni provincia e città medio-grande, senza però pensare che il vero diritto è la meritocrazia (valida per individui e atenei) non la vicinanza a casa. La meritocrazia infatti non è garantita da alcuna selezione né a monte (la scuola media superiore) né a valle: quali sono le effettive differenze di qualità tra un ateneo e un altro?

All’università migliore non approda chi ha più meriti, come dovrebbe essere certificato da un vero diritto allo studio. Su che base vengono assegnati i quattrocento milioni in borse di studio amministrati dalle regioni? Sulla base del merito rispondono le amministrazioni. Solo che quel merito non tiene conto del curriculum dello studente, bensì del reddito dei genitori, che è falso in almeno il cinquanta per cento dei casi. Alla fine, come è stato più volte denunciato, le regioni aiutano non gli studenti più meritevoli ma i figli mediocri degli evasori fiscali. Un modo come un altro per danneggiare chi è davvero bravo ma ha un padre bisognoso che paga onestamente le tasse.

Provocazione/spunto tratto da
L’autorità perduta
Il coraggio che i figli ci chiedono
di Paolo Crepet
ed. Einaudi

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8 marzo 2012

da Altreconomia
LE DONNE REGGONO IL MONDO

di Elena Sisti
ECONOMISTA, AUTRICE DEL LIBRO “LE DONNE REGGONO IL MONDO” (ALTRECONOMIA, 2010).
elena@altreconomia.it

LA VIOLENZA NON È DONNA
Uccidono di meno, perseguitano di meno, picchiano di meno: una maggior componente femminile nella vita pubblica del Paese sarebbe una soluzione a molti problemi

L’otto marzo è nel mondo intero la giornata della donna. E, come ogni anno, verranno presentati moltissimi dati che sulla violenza perpetrata nei confronti delle donne. Gli esperti snoccioleranno
dati e statistiche, che riflettono -inevitabilmente- una situazione che non sembra migliorare.
Una indagine sugli omicidi di donne in Italia, “Femicidio 2010”, realizzata lo scorso anno dalla
Casa delle donne di Bologna (www. casadonne.it), rileva che furono 127, in aumento di oltre venti rispetto al 2007.
Lo stesso ministero degli Interni, nel rapporto sulla criminalità del 2010, afferma che “la quota di donne uccise è straordinariamente in crescita”, e stima che rappresentino il 25% delle vittime di omicidio. La spiegazione è lucida: data la diminuzione generale del tasso di omicidi rispetto alla popolazione, quelli “in famiglia” -che tendono invece ad essere costanti nel tempo e che di norma implicano che sia una donna la vittima- diventano proporzionalmente più consistenti.
Ma sarebbe interessante, in occasione di questo 8 marzo, riflettere anche sui dati relativi alle donne come “carnefici”.
I numeri indicano chiaramente che in Italia, come nel mondo del resto, gli uomini e le donne presentano una diversità sostanziale nell’approccio alla criminalità in generale.
Il primo “dato” è che, come sempre, è molto complicato trovare dati disaggregati:
quando una donna è vittima, ciò è sempre messo in evidenza, ma non è altrettanto vero quando le stesse sono autori di delitti. Non sono facilmente, infatti, reperibili i dati relativi al numero di omicidi commessi da donne, e per l’Italia si può fare riferimento ai dati relativi alle condanne definitive e di una ricerca su questo tema dell’Istat, che però risale al 2007.
Più in generale, allora, i dati sulla popolazione carceraria indicano un divario immenso tra i tassi di criminalità tra uomini e donne. In Italia le donne rappresentano meno del 4% del totale della popolazione carceraria. Nel resto del mondo la situazione non è molto diversa, e le donne non rappresentano mai più del 10% del totale della popolazione carceraria. Inoltre, la maggior parte di loro è imprigionata per piccoli
crimini non violenti. Nel nostro Paese, le donne sono responsabili di meno del 3% dei crimini contro le persone e contro il patrimonio, mentre sono più comunemente condannate per reati contro le personalità dello Stato e quelli relativi alla prostituzione.
Le donne sono l’autore di una violenza sessuale in meno del 2% dei casi, e rappresentano meno del 13% del totale dei responsabile di reati persecutori come lo stalking. Livelli incredibilmente bassi si raggiungono con riferimento ai reati di stampo mafioso, dove le donne condannate rappresentano solo l’1,3% del totale.
Esistono inoltre studi sul contributo delle donne alla riduzione della violenza nei corpi di polizia e negli eserciti.
Con riferimento alle donne in polizia, ad esempio, esiste una vasta ricerca negli Stati Uniti d’America e a livello internazionale che dimostra che le donne poliziotte usano metodi meno violenti e sono più capaci nel calmare le situazioni di alta tensione e nell’evitare confronti violenti con i cittadini. Inoltre sembra che abbiano una migliore attitudine a creare forme di cooperazione ed a stabilire relazioni con la cittadinanza, condizione indispensabile per incrementare la fiducia nelle forze dell’ordine. Anche se può sembrare banale, le donne poliziotto sono molto più brave quando si tratta di affrontare episodi di violenza domestica.
Studi relativi agli eserciti e alle missioni di pace dimostrano chiaramente che gruppi di donne sono tendenzialmente più determinate a porre fine alle violenze e ad istaurare una pace duratura.
Insomma: le donne uccidono di meno, perseguitano di meno, picchiano di meno, rubano di meno. I dati sulle vittime sono fondamentali, ma questo marzo è essenziale concentrarsi sul fatto che un maggior numero di donne nella vita pubblica del nostro Paese sarebbe da sola una soluzione a tanti problemi di cui spesso i politici si riempiono la bocca.
Oltre ad una questione di parità, più donne vorrebbe dire polizia meno violenta, più voglia di cercare pace, minore criminalità e migliore comprensione di cosa sia la violenza domestica.
Riassumendo, una società migliore.

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Piazza Grande

Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è
sulle panchine in Piazza Grande,
ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è.

Dormo sull’erba e ho molti amici intorno a me,
gli innamorati in Piazza Grande,
dei loro guai dei loro amori tutto so, sbagliati e no.

A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io.
A modo mio avrei bisogno di sognare anch’io.

Una famiglia vera e propria non ce l’ho
e la mia casa è Piazza Grande,
a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.

Con me di donne generose non ce n’è,
rubo l’amore in Piazza Grande,
e meno male che briganti come me qui non ce n’è.

A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l’ho voluto io

Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.

E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone come me attorno a me.

ciao lucio..

Condivi
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Crisi: crescita o decrescita?

Giovedì 23 febbraio 2012 ore 20:45
Aula Magna Liceo “A. Canova” via Mura di San Teonisto, 16 – Treviso

Maurizio Pallante - Crisi economica, debiti pubblici e decrescita felice

Da molti anni si occupa di politica energetica e tecnologie ambientali. È il fondatore del Movimento per la Decrescita Felice

Per saperne di più: http://decrescitafelice.it/

La voce Maurizio Pallante su Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Pallante

Crisi economica, debiti pubblici e decrescita felice
Caratteristica comune del complesso di idee che va sotto il nome di Decrescita è il rigetto dell’obiettivo del mantenimento, in quanto tale, di un tasso di crescita economica positivo. La decrescita è un concetto socioeconomico, secondo il quale la crescita, intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il PIL (Prodotto Interno Lordo), non porta ad un maggior benessere e nemmeno ad un aumento delle probabilità di sopravvivenza. Questa idea è in completo contrasto con il senso comune corrente, che pone l’aumento del livello di vita rappresentato dall’aumento del PIL come obiettivo di ogni società moderna. L’assunto principale è che le risorse naturali sono limitate e quindi non si può immaginare un sistema votato a una crescita infinita. Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attraverso altre strade, cambiando il paradigma dominante della necessità di aumentare i consumi per dare benessere alla popolazione.

“La decrescita non è una rinuncia, una riduzione del benessere, un ritorno al passato. Piuttosto è una scelta consapevole, un miglioramento della qualità della vita, una rispettosa attenzione per il futuro. E la sobrietà non è solo uno stile di vita, ma una guida per la ricerca scientifica.
La decrescita è l’elogio dell’ozio, della lentezza e della durata.”

L’invito è aperto a tutti e l’ingresso è gratuito

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Trevisani nel mondo, Australiani a Gaiarine

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Occasione sprecata o mancanza di sensibilità?
In occasione della recente inaugurazione del restaurato palazzo Municipale e della Piazza Vittorio Emanuele, l`ospite più prestigioso e gradito è stato nientemeno che l’Onorevole Ron Hoening, dal 1981 Sindaco della città di Botany Bay e pertanto già presente a Gaiarine in occasione del gemellaggio fra il nostro Comune con quella città nell’estate del 1983.
Il gemellaggio tra Gaiarine e Botany è stato un capolavoro diplomatico che ha realiz
zato il sogno di perpetuare la memoria degli emigranti, cittadini di due mondi.
Il recente monumento dedicato ai Trevisani nel Mondo non è stato meta di visita ufficiale da questi signori ospiti!
Dimenticato? Non è forse paradossale?
E ora ci si può benissimo chiedere: ma per quale motivo, si é voluto, costruito, il monumento ai Trevisani nel Mondo? E in pompa magna con ben due cerimonie inaugurato?
Onestamente e senza dubbio verrebbe da rispondere che, coscienziosi e volenterosi Gaiarinesi hanno voluto dimostrare la loro gratitudine verso coloro i quali, coinvolti nella drammatica situazione economica del dopoguerra, con senso di responsabilità e sacrificio hanno scelto la dura e incognita via dell’emigrazione. Questi cittadini, stabilitisi in diversi e spesso remoti paesi, hanno contribuito al passaggio dalla stentata economia agricola a quella che diventerà una fiorente economia industriale in Veneto e a Gaiarine nei decenni a venire.
Avere dato lustro al nome del nostro Comune nel Mondo è stato per loro motivo di onore ed orgoglio così come per noi che li ricordiamo. Purtroppo una vera occasione per concretizzare ufficialmente questo riconoscimento, le autorità Comunali (poco lungimiranti e ancor meno diplomatiche) non l’hanno tenuta e chissà per quale motivo!
Laggiù a Sydney nella grande baia di Botany, un parco è intitolato al nostro Comune.
“Gaiarine Gardens”, distante non più di un chilometro e mezzo si distende l`immenso cimitero, nel quale riposano nostri concittadini, illustri e meno illustri, ma creditori di ugual onore e preghiera. Altri hanno voluto e ottenuto accoglienza dopo la morte nella sospirata e indimenticata Terra Natia.

Tutti, chi più chi meno, sono artefici nel realizzare il grande sogno e capolavoro diplomatico che è stato il gemellaggio delle due municipalità.
Chi crede che tutto sia stato come “oro colato”, grossolanamente si sbaglia. Senz’altro non immagina cosa vuol dire, per un emigrante Italiano, conquistare la fiducia da parte degli indigeni Australiani. Non dimentichiamo che fino pochi anni prima, noi eravamo bollati come “traditori”. Pertanto quei nostri paesani hanno dovuto sudare le sette proverbiali camice, ma alla fine ce l’hanno fatta. Dopo pochi anni se ci chiedevano: Where are you from? Se rispondevamo: Near Venice: eravamo già Loro Friends “mate in gergo Australiano.”
Dunque quale migliore occasione sarebbe stato per onorare tutti questi nostri defunti!
L’Onorevole Ron Honing si sarebbe senz’altro commosso nel soffermarsi ufficialmente di fronte al monumento che ricorda quei suoi cari amici, perché tali essi erano.
Non avrebbe senz’altro perso l’occasione per ringraziare ancora una volta ufficialmente questa piccola parte del mondo, che così tanto ha fatto per fare progredire, materialmente, spiritualmente e culturalmente il Suo ma anche Nostro nuovo Mondo.
Silvano Zaccariotto

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