E verranno i tecnici, e parleranno di limiti di legge e impianti in osservanza delle regole e emissioni a norma. Ma cos’è un limite di legge? Come viene stabilito? Chi lo propone? Chi lo decide? Chi lo controlla?
A queste domande un gruppo di Medici Oncologici dà le seguenti risposte.
Archivio dell'autore: Roberto Feletto
Il dragone Komazzù
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C’era una volta tanto tempo fa
un paese che non era ancor città
ma tentando di apparire bello e figo
pensò bene di chiamarsi Francenigo.
Or la sua gente onesta e laboriosa
davasi da fare sudando senza posa;
mal gl’incolse e un fato poco incline
appioppò loro a capoluogo Gaiarine.
Ciononostante il paese prosperava
e accanto a case condomini edificava,
metricubi qua e là coglieva ogni occasione
di sfruttare fino in fondo la febbre del mattone.
Si disse che del senno a posteriori
si puote riempir fossi e rogge ulteriori,
fatto sta che il paesotto di una volta
ebbe crescita sgraziata e malaccorta.
Tagliata a mezzo dall’asfalto di una strada
percorsa e affollata da rombante masnada,
dileggiata negli anni da operette occasionali
dissagrata man mano nei suoi spazi vitali.
Ma nelle brutte storie può capitar il peggio
se si unisce incapacità all’ottuso maneggio
e in un delirio di sconsiderata urbanizzazione
si onora il dio cemento con la cieca distruzione.
È l’apoteosi della ruspa e dello scavatore,
evoluto dragone maligno e demolitore
il Komazzù trancia, sgretola, frantuma,
le mura del ricordo nella polvere consuma.
Le pietre antiche di una casa son punto di memoria
le sue radici danno saggezza, raccontano una storia
così cantava un menestrello di tempi andati
spiegandoci la suggestione di quei significati.
Ma il Komazzù dilania, lacera, sbrana
cancella i residui della storia nostrana
rimpiazzandola con cieca e tonta indegnità
con qualsiasi opera spacciata d’utilità.
Or di eroici cavalieri non vi è quasi più notizia
e anche in Francenigo dilaga l’imperizia
ma se la notte è più buia prima dell’aurora
è l’ora del riscatto di un futuro che rincuora.
Rendiam domestico dunque il dragone ottuso
e della sua possente forza facciam oculato uso,
poiché sta scritto che chi cancella il suo passato
a riviverlo peggio poi nel futuro è condannato.
Niutaun
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Il viaggiatore che arriva a Niutaun, prima di ogni altra cosa, è colpito dalla presenza della gente. All’inizio è sorpreso dal numero delle persone che incontra, a tutte le ore del giorno; poi comincia a intuire i fili che le legano e allora a sorprenderlo è la qualità delle relazioni.
Un bambino, a Niutaun, non ha mai lo sguardo smarrito; sa dove si trova e dove guardare per trovare occhi che lo rassicurino. Ogni abitante sente di non essere solo; anzi, la solitudine è ricercata talvolta come un piacere di cui godere liberamente.
Il viaggiatore, anche in mezzo ai suoni, alle voci e ai movimenti più confusi, sente che ogni cosa ha un suo posto e contribuisce alla ricchezza e alla qualità dell’insieme.
Niutaun non ha avuto origine da un progetto, inteso come qualcosa proposto da un élite illuminata che è stato applicato dall’alto alla città. Il viaggiatore che chiede come è cominciato il cambiamento che ha prodotto l’armonia attuale si sente rispondere in maniera sempre diversa: chi dice che tutto è iniziato da un gruppo di donne che scelsero di fare il pane in casa con la farina proveniente da un’azienda agricola biologica sorta nelle immediate vicinanze; chi dice che fu il problema dell’acqua e la decisione di rifiutare le bottiglie di plastica, preferendo il filtraggio domestico; chi dice che il responsabile della rivoluzione è la prima famiglia che scelse di non avere l’automobile e che, dopo un periodo di compassionevole condiscendenza, scatenò la mania della bicicletta per i piccoli e quotidiani spostamenti.
Certo, i tempi del cambiamento sono stati lenti e non è possibile ricostruire la catena delle cause e degli effetti. Ogni scelta ne generò altre. Non solo. Una scelta fatta per senso di responsabilità verso le generazioni future ne generò altre fatte per tutelare i più deboli; una scelta fatta in nome della sicurezza ne generò altre che avevano come fine il gusto e la qualità della vita. Ciò che all’inizio stupiva, diventò abitudine, ma solo per preparare il terreno a nuovo stupore, a nuovi sguardi sul mondo e sulle cose, a nuove libertà.
Ogni generazione aveva un’idea diversa della libertà, ma il tempo ne ha fatta maturare una condivisa da tutti: la libertà di sentirsi utili, di ascoltare e di condividere, di servire.
Il racconto degli abitanti diventa un mito delle origini, dal quale emergono le figure eroiche ed esemplari di colui che tolse il sasso dalla strada affinché nessuno vi inciampasse o di quella persona che, di notte, imbiancò le pareti dei bagni pubblici.
Il viaggiatore ascolta curioso e, mentre riflette sulla capacità umana di mitizzare la realtà e la storia, è colpito dall’edificio più bello di Niutaun, un palazzo in cui evidentemente si sono impegnate le migliori energie, hanno collaborato le migliori menti e braccia, sono state utilizzate le più ampie risorse. Quando lo informano che si tratta della scuola pubblica, comincia a capire quale forza abbia permesso la nascita di Niutaun.
Se la scuola è l’edificio più bello significa che gli abitanti di questa città hanno scommesso sul futuro, sono stati capaci di puntare sulla pazienza e sulla profondità, anziché sulla gratificazione istantanea. Si racconta che il progetto della scuola nacque durante quella che è rimasta nella storia di Niutaun come la “notte dei desideri”: Non ci fu un’assemblea pubblica e neppure un consiglio comunale; accadde però che in molte famiglie, quella sera, si parlò dell’albero maestoso che era cresciuto nella piazza, quello che era chiamato “l’albero della comunità”. L’albero era nato da un seme di cui nessuno ricordava l’epoca ma cresciuto rigoglioso grazie alle cure che ogni cittadino gli aveva prestato, lungo i decenni, facendone il simbolo del bene comune.
Quella sera, nelle case di Niutaun, tra le persone che avevano saputo custodire i desideri come fossero piccole fiammelle, nacque il desiderio più grande: quello di fare per i bambini, per i ragazzi e per i giovani di Niutaun quello che era stato fatto per l’albero più importante della città. Pensarono allora che la scuola doveva diventare il cuore della città, il luogo in cui si semina, si sogna, si fatica, si attendono i frutti che altri, forse, dopo di noi, coglieranno.
Il viaggiatore a questo punto solitamente si siede. Ascolta. Riflette. Si chiede perché non ne avesse mai sentito parlare. Si domanda per quale motivo solo le brutte notizie si diffondano ovunque e rapidamente. Controlla l’annuario statistico dell’impero e scopre che i numeri c’erano sempre stati ma non li aveva saputi leggere, perché erano solo numeri oppure perché anche lui era condizionato a misurare il benessere con i soli dati economici.
Si chiede ancora se Niutaun sia replicabile e come fare a diffondere il bene, a renderlo credibile e desiderabile. Si potesse misurare il benessere, la felicità, la qualità della vita! Eppure a Niutaun non si sono messi d’accordo; sono partiti da strade diverse contagiandosi lungo il cammino. I piccoli desideri sono diventati obiettivi, poi scelte, in seguito scelte misurate e condivise, contagiose. Le scelte quotidiane hanno prodotto nuove narrazioni collettive nelle quali hanno trovato spazio anche i grandi desideri e l’ambizione più alta: una città in cui ognuno, anche il forestiero, l’ospite, il viaggiatore e il rifugiato, si sentono a casa propria e liberi di obbedire allo stupore.
La sovversione necessaria
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La sovversione necessaria
Battaglie civili e impegno politico in Luigi Veronelli
Citazione dal libro: “Anarchia per me è la libertà dell’altro”
“Pensateci ragazzi. L’abbandono delle città, degli stabilimenti e il ritorno alla terra e al suo lavoro in condizioni ambientali, a volte difficili, a volte paradisiache, sempre di fronte al mare, alla campagna, ai boschi, ai monti.
Con una remunerazione individuale assai alta, data l’eccellenza dei prodotti terragni, ottenuti con mezzi artigianali, se non addirittura manuali. (…) Nei fatti, ogni uomo, in ogni parte del mondo, con leggi giuste, potrebbe vivere con il lavoro della propria terra.
Nella nostra patria – la patria è ciò che si conosce e si capisce – i contadini, sia piccoli proprietari, sia braccianti, potrebbero essere, per il favore del terreno e del clima, addirittura dei privilegiati”.
di Luigi Veronelli proponiamo di seguito uno straordinario articolo rivolto ai giovani ancora 17 anni addietro
“Che cosa può darvi un uomo della mia età se non i dati dell’esperienza? Solo oggi, più che settantenne, vedo con chiarezza: il potere ha utilizzato – con un vero e proprio capovolgimento dei propositi – ciò che era nei nostri sogni.
Anziché far l’uomo più libero con il progresso, la scienza, la macchina, la cultura ecc., renderne più rapido e sicuro l’asservimento. Ogni scoperta e ogni invenzione – nate tutte (oso credere) dal proposito di essere vantaggiose all’uomo – sono state deviate ed utilizzate, contro l’uomo.
Basta guardarsi attorno, con un minimo di senso critico e morale e ci si accorge che tutto, ma proprio tutto, viene attuato per renderci servi.
Un tentativo che – pur essendo tutt’altro che escluse le violenze e le atrocità dei vari fondamentalismi (sono tante le maschere, religione ed etnia in primis) – aggredisce l’uomo, con i mezzi suadenti delle comunicazioni di massa.
Chiaro ed orrifico il fine: non più individui, non più cittadini, non più un popolo, ma milioni di uomini e donne, senza volto né storia, servi.
Ripeto: la macchina del potere ha posto al proprio servizio gli uomini di lettere, di cultura e di scienza, i giovani “più in vista” e i politici.
Uomini di lettere, di cultura e di scienza. Comprati.
I giovani più in vista. Utilizzati come paladini dell’industria e del capitale, i migliori nello sport, nello spettacolo, nel trattenimento e nelle arti. Giovani che, per denaro esaltano – forse inconsapevoli – una programmazione omertosa.
I politici nazionali e no… La comunità europea – in cui avevamo pur posto speranze – ha emanato norme subdole e fintamente igieniche per metter fuori gioco, a favore di industria, conserve, salse, formaggi e salumi prodotti in modo artigianale, senza rischio reale alcuno da millenni.
In modo più spettacolare e continuo, i mass-media, le pubbliche relazioni, le promozioni e la pubblicità. ad ogni ora del giorno, persuasori tutt’altro che occulti, esaltano ciò che dovrebbe civilmente essere condannato. Fanno consumare le stesse cose in ogni anglo del mondo, costringono a consumi non necessari anche i più poveri, impongono alimenti geneticamente manipolati di cui si ignorano gli effetti a tempo lungo sull’organismo umano – i cosiddetti alimenti transgenici, che propongono l’uniformità dei gusti – ed annullano il mutare delle stagioni.
Mi limito ai due prodotti-simbolo: la cocacola e l’hamburger (se diss inscì?), uguali – pensa te – in ogni luogo del mondo. Se vi sono una bevanda ed un cibo vecchi – che sentono e sanno di vecchio – questi sono proprio la coca cola e l’hamburger. L’uno e l’altra monotoni e statici. L’uno e l’altra tuttavia esaltati come fossero prediletti dai giovani, nel futuro dei giovani. Perché lo bevano e lo mangino – i giovani dico – gli debbono costruire attorno un “castello” (un castello? un finimondo) di pubblicità e promozioni plurimiliardarie…
I giovani prediligono – ed io vorrei esigessero – il nuovo e il diverso. Tutto nuovo e tutto diverso – spazio alla creatività – certo, ci viene da infinite evoluzioni, dalle millenarie lotte e sofferenze di uomini perseguiti, nuovo e diverso. I giovani si sono resi conto che la tradizione e la cultura sono non un piedistallo, bensì un trampolino di lancio. nuovo e diverso presentati con una serie di interventi critici, di note culturali e di provocazioni, così da esaltare proprio nel nostro sangue e nelle nostre idee, luci e coraggio.
Ho parlato di tradizione e di cultura. Un distinguo. Necessario.
Ciò che ci concedono e ci presentano i detentori del potere, con le immense possibilità di corruzione del denaro, anche quando ci viene presentato come cultura o peggio (peggio da che vi è il tentativo di maligna subornazione), come contro-cultura è, nei fatti, sottocultura. Noi siamo – e qui lo dico da anarchico – la cultura, per definizione sempre impegnata e nel domani.
Ineffabili e cinici mascherano il tutto con campagne puritane: opererebbero per la purezza e la salvezza del genere umano.
Nei fatti si rischia che la terra non basti agli uomini, perché l’industria e l’agricoltura industrializzata stanno desertificando e avvelenando i terreni con la ricerca, senza limiti, del profitto.
La tragedia del genere umano sta per giungere al suo compimento, proprio con la desertificazione, il degrado, la reale morte della terra. E’ terra la madre di ciascuno di noi, la terra singola, la terra da cui siamo nati, la terra che camminiamo, la terra su cui ci adagiamo, la terra di cui cogliamo i fiori spontanei ed i frutti, la terra degli olivi e delle vigne, la terra che coltiviamo di fiori, di frutta e di ortaggi, la terra che ci dà le raccolte, la terra su cui facciamo l’amore.
Sono stati così “capaci” e potenti da portarci al contrario di tutto. Il progresso anziché all’uomo dovrebbe servire al potere.
Proprio il progresso che ha l’imperativo categorico di distruggerlo, il potere.
Su quali giovani contare? Sui giovani coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti.
Giovani che sappiano opporsi al capovolgimento dei fatti. Se i fatti denunciati sono veri – e non vedo alcuno che possa smentirmi – è necessaria e urgente – nessuna possibilità di rinvio – l’eversione e la sovversione. Cercano d’imporci – la suadenza, la musica, i comici, il cinema, quant’altro – le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi compagni, la qualità. Ho avuto modo, per la loro civile frequentazione, di conoscere meglio, tra i giovani, alcuni impegnati nei Centri Sociali e nei Circoli Anarchici. Li ho trovati coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti.
Penso che siano i soli a poter svelare e rendere evidente agli altri giovani, il tentativo in atto contro di loro, in quanto contro la libertà della terra…
Il nostro avvenire, e quello dei nostri figli è in gioco, proprio – e in maniera più diretta di quanto si creda – sulle necessità prime del mangiare e del bere.
Non è affatto un caso che coltura e cultura abbiano identica etimologia. Coltura significa coltivazione del terreno. cambi la o in u, cultura, ed hai il complesso delle conoscenze intellettuali. “Il terreno arato non si distingueva da quello non ancora messo a coltura” leggi in Carlo Cassola. “Colui che ha cultura non è davvero tale se non è dominata, trasformata e assimilata dall’ingegno”, afferma Benedetto Croce.
Il progresso – lo vediamo in ogni fatto di cui ci occupiamo in modo sereno – è proprio coltura e cultura…
Voi potete essere i catalizzatori della riscossa, sia che vogliate assumere responsabilità nel nuovo sistema, sia no.
Giovani, ponetevi in modo critico di fronte al progetto di globalizzazione. Progetto che, nei fatti, è già in corso. Progetto che implica il ritorno di ciascuno che non abbia capitale alla schiavitù”.
(Ex Vinis, n. 43, ottobre/novembre 1998)
Caro ministro, basta opere inutili
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Uno dei contributi al dibattito sullo stato di salute dell’ambiente veneto presentato Il 3 Agosto scorso a Roncade (Tv) da don Albino Bizzotto al ministro dell’Ambiente Galletti e all’assessore regionale Bottacin
da Tera e Aqua settembre 2015
Caro ministro, basta opere inutili
di Mariarosa Vittadini*
Egregio signor Ministro dell’Ambiente, prima di tutto grazie di essere venuto in un luogo cosi lontano dai centri del potere e dallo spettacolo della politica. La firma del Protocollo d’intesa per il Contratto di Fiume è davvero un segnale simbolico importante per un cambio di registro sulle questioni ambientali. Sull’ambiente, la sua tutela e buon funzionamento si gioca il futuro: quello lontano e quello prossimo, quello dei poveri e anche quello dei ricchi. L’enciclica “Laudato si’” presenta con straordinaria chiarezza questa prospettiva e gli immensi cambiamenti che occorrono per vivere in pace, con equità e giustizia.
Se questo è straordinariamente chiaro, dobbiamo però riconoscere che qui, oggi, in Italia, nel Governo di cui Lei fa parte, la questione ambientale è del tutto marginale. Provo ad elencare solo alcune questioni che avrebbero bisogno di essere affrontate con coraggio e innovazioni istituzionali/politiche e che invece, sotto l’ambigua etichetta di “semplificazione” vengono semplicemente rimosse dall’agenda politica.
1. La questione delle grandi (e anche meno grandi) infrastrutture, dei danni ambientali e sociali a cui danno luogo nei territori attraversati. Il Ministro Del Rio ha promesso una riforma della sciagurata Legge Obiettivo e l’avvio di una nuova stagione di programmazione guidata dall’Amministrazione pubblica. Ma, sig. Ministro, non abbiamo sentito la sua voce richiedere che la programmazione assuma consapevolmente obiettivi ambientali, non solo per il contenimento delle emissioni di CO2, ma per la salvaguardia e il risanamento degli ecosistemi da cui dipende in gran parte il benessere delle comunità e dei territori. Una dipendenza che gli eventi estremi, qui in Veneto così frequenti e disastrosi, hanno ormai trasformato in piena consapevolezza e richiesta di politiche ambientali responsabili, accompagnate dalla partecipazione delle collettività alle decisioni che le riguardano. L’integrazione degli ecosistemi negli strumenti di programmazione e nei criteri di decisione è una riforma fondamentale, assai più importante per la vita dei cittadini di molte misure economiche proposte dal Governo. Se ne faccia portatore e avrà la collaborazione piena di politici locali, tecnici, università e cittadini.
Ne varrebbe davvero la pena.
2. La frammentazione del territorio aperto, l’inquinamento, il consumo di suolo hanno ormai raggiunto e superato i livelli di guardia. Sul consumo di suolo tutto tace e le Regioni ancora una volta vanno ciascuna per conto proprio, in un disperante caos amministrativo e politico. Lei, signor Ministro, ha in mano due strumenti fondamentali per integrare logiche ambientali in tutte le politiche e le strategie settoriali: la VIA e la VAS. Ma entrambi, nei documenti del Governo, sono costantemente inseriti tra le “procedure” da semplificare, se possibile evitare come inutili perditempo. La centralità dell’ambiente in tutte le politiche settoriali (infrastrutture, trasporti, energia, edilizia, agricoltura) meriterebbe politiche ben più lungimiranti e coraggiose. Dobbiamo invece registrare un ddl Madia che introduce anche per la questioni ambientali e paesaggistiche il silenzio assenso, in passato già riconosciuto inapplicabile nell’ordinamento nazionale.
Davvero il Ministero dell’ambiente non ha nulla da dire in proposito?
3. La coltivazione di idrocarburi in Adriatico rappresenta bene la schizofrenia dell’attuale politica: da una parte si afferma la prospettiva della green economy e l’assoluta necessità di procedere verso una economia low carbon, dall’altra si potenzia l’estrazione di idrocarburi in Adriatico. Si dà per scontata l’accettabilità dei rischi immensi a cui tale moltiplicazione delle estrazioni (da entrambe le sponde) darà luogo. Le Regioni costiere si stanno mobilitando per vietare le estrazioni. E il nostro Governo? Davvero vogliamo essere responsabili di questa assurda miopia verso le generazioni future? Per quanto difficile sia levare la sua voce contro gli immensi interessi finanziari coinvolti, ci aspettiamo che Lei lo faccia. La sosterremo con tutti i mezzi a nostra disposizione, compresa la mobilitazione delle popolazioni e delle attività che vivono grazie alla buona salute dell’Adriatico.
4. Venezia e le grandi navi. Non è bastato un decreto legge a vietarne il passaggio da S. Marco e il suo brutale schiacciamento estetico della città. Oggi, nella strumentale attesa di percorsi alternativi, le grandi e grandissime navi continuano ad arrivare alla Marittima passando dalla bocca di Lido, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, seminando lungo il loro percorso danni ai fondali, alle rive e alla qualità dell’aria. Il Canale Contorta, proposto dall’Autorità portuale come alternativa, è in procedura VIA e la sua Commissione tecnica di Valutazione ha posto in luce ragioni più che sufficienti a dichiararlo subito incompatibile con la salvaguardia della Laguna. Oggi l’Autorità portuale e il nuovo Sindaco di Venezia, in una alleanza di interessi economici e finanziari purtroppo già dolorosamente sperimentata, propongono di arrivare alla Marittima attraverso il Canale Vittorio Emanuele. È una soluzione distruttiva della morfologia lagunare del tutto simile alla scavo del canale Contorta e in ogni caso richiede una procedura di VIA sul relativo progetto, oggi inesistente. Alternative non distruttive della Laguna, che collocano il Terminal fuori dalla bocca di Lido, ci sono e sono già state presentate al suo Ministero. Le procedure di valutazione faranno il loro corso.
Non le pare che la salvaguardia di Venezia e della Laguna sarebbero degne di una responsabile decisione politica, che stabilisca regole basate sulla salvaguardia ambientale della Laguna piuttosto che sulla massimizzazione degli interessi economici?
Chi se non il Ministro dell’Ambiente dovrebbe farsi promotore attivo e convincente di una tale decisione?
*docente IUAV Venezia
Semo a.. post! (79)
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Eventi a PordenoneLegge
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Tra i tanti appuntamenti interessanti proposti quest’anno da PordenoneLegge ne segnaliamo in particolar modo alcuni che ci stanno a cuore, seppur con diverse ragioni:
sabato 19 ottobre Paolo Pileri, presenterà il suo libro Che cosa c’è sotto, un libro che restituisce piena dignità al suolo, qualcosa di delicato e complesso, di segreto e meraviglioso, di potente e sottile, di vivo, sano, abitato, di profumato e persino di buono. Il libro è stato pubblicato da Altreconomia grazie al crowdfunding.
Mentre domenica prossima 20 settembre due nostre concittadine presenteranno il loro libro Kokà e gli animali dello zoo, pubblicato da Edizioni L’Omino Rosso; si tratta di un racconto illustrato rivolto ai nostri bambini, pensato ancora qualche tempo fa e più che mai attuale oggi.
Complimenti a Lara e Marika.
Koká è un simpatico elefantino che vive in uno zoo […]
infine collateralmente alla manifestazione sarà possibile trovare un banchetto di Stop TTIP dove si potranno trovare informazioni e la possibilità di sottoscrivere e firmare l’appello