Consiglio comunale del 30 novembre 2010

Cosa c’è di nuovo sotto il sole, anzi dentro la notte dei Consigli Comunali in quel di Gaiarine?
Inutile ripetersi, vi rimandiamo alla premessa fatta nella Cronaca del Consiglio Comunale del 25/5/2010 che potete leggere qui e alla nostra rubrica “Chi parla ai Consigli Comunali“.

Aggiungiamo solo che un cittadino presente per
la prima volta ad un Consiglio Comunale all’uscita ci ha chiesto «Ma è sempre così.. così.. così despota?».

Punto 1 – Interrogazione presentata dal Gruppo “Fare Futuro Federale” in merito alla “viabilità di adduzione all’A28 – primo stralcio denominato anche circonvallazione di Gaiarine
All’interrogazione il sindaco risponde con spiccato senso dell’humor (meritevole di ben altri palcoscenici ma del tutto affini ormai ai bassi politici) se non fosse dovuta indirizzarsi a Veneto Strade Via C.Baseggio, 5 30174 Mestre Venezia. Poi
con magnanima condiscendenza risponde ai punti presentati ricordando come alcuni cittadini di Gaiarine abbiano presentato una lettera ben oltre la scadenza prevista per la presentazione di osservazioni al progetto quindi inconsistente e alla quale la responsabile del procedimento aveva provveduto a rispondere, e nel merito della quale l’amministrazione comunale nulla rileva.
Alla successiva replica del consigliere Rosada sull’opportunità di portare in consiglio comunale un’istanza di cittadini, ancorchè fuori da termini e scadenze, che rivolga quesiti e richieste riguardanti la conformità progettuale per la sicurezza di una strada e l’incolumità degli utenti più deboli di quella stessa strada (ciclisti e pedoni), arrivando anche a proporre alternative e migliorie realizzabili con il semplice ricorso al sostanzioso risparmio verificato con il ribasso d’asta, il sindaco con la sensibilità e la capacità di ascolto ormai risapute esclama: «Passiamo al secondo punto all’ordine del giorno!»
Il consigliere Antoniolli tenta di prendere la parola per una propria considerazione ma il sindaco con gesto imperioso della mano e voce stentorea e potente intima «NO» e aggiunge «non c’è più tempo, sono esauriti i minuti a disposizione per la replica»..
Segue puntigliosa lettura delle voci del regolamento che disciplinano gli interventi in consiglio comunale (chi, come, quanto può parlare).
Noi facciamo presente che un’istanza dei cittadini (la potete rilegge
re qui) non ha mai scadenza, soprattutto se mette in evidenza carenze progettuali riconosciute persino dal progettista dell’opera e che una amministrazione seria dovrebbe riconoscere i propri errori e porvi rimedio..
Ma si sa che quando non si hanno risposte o quando si sa di essere nel torto, codesti figuri, che a parole si dichiarano contro la burocrazia, proprio la burocrazia usano, oh se la usano: osservazione presentata fuori termine per cui … amen!

Punto 2 – Interrogazione presentata dal Gruppo “Fare Futuro Federale” in merito alla “attuale esistenza e mancata bonifica di discarica abusiva di rifiuti tossici in frazione Campomolino
Sul tema della discarica abusiva di Campomolino il sindaco riporta la scansione cronologica della pratica che la riguarda, iniziata nel 2000 quando viene inserita in un elenco regionale di siti da bonificare, proseguita nel 2006 quando è l’Arpav (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto) a prevedere dei sopralluoghi, fino a oggi con la pratica tuttora in carico all’Arpav.
Sulla possibilità di prelievi ed analisi che verifichino la salubrità delle falde adiacenti scongiurando la possibilità di sversamenti o infiltrazioni inquinanti è netta e coraggiosa la risposta del sindaco: «il nostro territorio comunale è per fortuna ricco di numerose falde per questo è impensabile ipotizzare l’esame di tutte, non risultando ad oggi alcuna segnalazioni di inquinamento»
.
Ci chiediamo: ma dove l’abbiamo trovato uno così?
Qualsiasi persona dotata di comune buon senso, e non s
olo geologi, professionisti, tecnici, avrebbe potuto spiegargli che per verificare il possibile inquinamento di una discarica basta fare dei pozzi di monitoraggio della falda acquifera nelle vicinanze della discarica stessa, senza crivellare l’intero territorio comunale come un gruviera, ma quando non si hanno argomentazioni o interessi, si parla per dar aria alla lingua.

Punto 3 – Interrogazione presentata dai consiglieri di minoranza in merito “alle prospettive di attivazione e funzionamento del depuratore di Campomolino”
Leggetevi questi due articoli dalla Tribuna di domenica 28/11/2010 e di martedì 30/11/2010, così potete farvi la vostra idea.
Per il sindaco attuale la colpa è sempre degli altri, dimenticando naturalmente le sue responsabilità derivate dai 6 anni come sindaco e dai quasi 5 anni come revisore dei conti del Consorzio Intercomunale. Ma pare che alle problematiche fogniarie preferisca quelle urbanistiche, meno disgustose, olezzanti e tanto più remunerative.
Alla fine della discussione chicca del sindaco, evidentemente ispirato dalla
sodale ministraGelmini, che rivolge al consigliere Scandolo l’invito a documentarsi meglio esclamando: «la scuola va fatta a casa!».
Dimostrando così la sua fiduciosa lungimiranza, aggiungiamo noi, poiché di questo passo la scuola pubblica non esisterà più e ciascuno potrà coltivarsi cultura, istruzione, educazione direttamente a casa propria: più “scuola privata” di così!

Punto 4 – Interrogazione presentata dai consiglieri di minoranza in merito “alla sicurezza stradale in particolare nei centri abitati”
In merito alle numerose puntualizzazioni fatte sulla precaria e degenerata viabilità dei centri che ha portato alla raccolta di 560 firme nel comune, il sindaco non risponde direttamente ma si dice sorpreso e meravigliato e sbalordito dalla mancata osservazione delle tante cose fatte dall’amministrazione, semafori, lampeggianti, rotatorie, piste ciclabili, sensi unici, non ultima l’avvio dello stralcio di circonvallazione che unitamente all’apertura dell’A28 hanno reso più sicure le strade.
Nessun accenno alla qualità dell’aria che si respira, ai numerosi incidenti – anche letali – avvenuti, all’evidente aumento del traffico, al moltiplicarsi dei comportamenti scorretti e a rischio.
Solo autocelebrazioni anche sulla realizzazione di piste ciclabili (in effetti si sta realizzando la pista ciclabile che porta a Campomolino) ma tacendo clamorosamente (ed è evidente la contraddizione) che con la circonvallazione si vanno a chiudere due strade campestri (strada del Bosco e via Ravanei) che collegano Gaiarine rispettivamente a Campomolino ed Albina (vedi primo punto di questo Consiglio Comunale).
Anche qui le istanze di 560 cittadini messe in un cassetto (vedi qui le ipotesi), mai portate nè discusse in Consiglio Comunale.
Viene da chiedersi: ma per questa amministrazione i “cittadini” quelli con “C” maiuscola, quelli che si fanno carico dei problemi della comunità, quelli che si impegnano civilmente.. esistono? …. o esistono solo quelli del punto 9 di questo Consiglio Comunale?

Punto 4 bis – (non presente nell’ordine del giorno) in merito all’alluvione nel veneto e alla sicurezza idraulica.
Ancora una volta il sindaco ripropone una versione dei fatti, avvallata anche a livello di regione, che bolla come eccezionali gli eventi atmosferici di inizio novembre, ignorando le valutazioni di tecnici e studiosi che parlano sì di eventi di forte intensità ma le cui conseguenze sono state eccezionalmente disastrose per il criminale scempio umano del territorio.

Alla proposta del consigliere Poles di devolvere il gettone di presenza dei consiglieri comunali a favore degli alluvionati del veneto, in primis il sindaco e a ruota la maggioranza dice no, etichettando come marginale, esigua e di sola immagine la proposta e invitando invece privatamente all’adesione.
Poteva invece rappresentare un gesto istituzionale d’esempio, certo simbolico ma del tutto positivo: ma guarda caso quando si tratta “de schei”….

Solo la minoranza devolverà il gettone.

Punto 5 – Mozione per la moratoria sui procedimenti attuativi previsti dalle norme vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi idrici ed, in particolare ….
in poche parole in merito al referendum sull’acqua pubblica.
Prima di iniziare la discussione di questo punto, vi è una presa di posizione con presentazione di un’interrogazione del consigliere Antoniolli, che dichiara il suo disagio in un consiglio comunale dove non c’è dialogo, dove non si lavora tutti assieme per risolvere i problemi della comunità, dove tutto viene regolato dal sindaco con atteggiamenti non condivisibili.
Fatto il discorso, apprezzabile sotto molti punti di vista, il consigliere lascia il consiglio, dichiarando inutile la sua presenza.
Tutto bene. Presa di posizione ferrea e coerente, visto l’andazzo dei consigli in quel di Gaiarine ……. ma sorge un dubbio…. non è che per caso non voglia togliersi dalla mischia? …. evitando furbescamente presenza e voto sul punto 9 ? ….
Nel merito dell’acqua bene pubblico: completamente disatteso e ignorato l’impegno assunto dal sindaco e dal consiglio comunale intero a promuovere azioni di tutela e salvaguardia dell’acqua potabile pubblica.
Sulla mozione il sindaco libera i suoi e permette loro di votare secondo coscienza (parola grossa…), per cui tutti votano a favore, mentre il sindaco, Giorgio Fantuz e Alvaro Poles si astengono (nell’imperturbabile coerenza del voto di maggio).

Punto 6 – Approvazione verbali seduta del 25 maggio 2010
il consigliere Rosada fa mettere a verbale una sua dichiarazione nella quale fa presente che è dal consiglio del 25 maggio scorso che aspetta una risposta dal revisore dei conti in merito ad una delibera che era priva del parere contabile e pertanto illegittima (il revisore dei conti allora interpellato direttamente si riservò di rispondere appropriatamente in seguito).
Alla fine Rosada si dichiara fiduciosa che sicuramente non passeranno altri 6 mesi prima di avere la risposta che le è dovuta.

Ci viene un dubbio: e se fosse una affermazione ironica?

si vota


Punto 7 – Verifica dello stato di attuazione dei programmi e verifica della salvaguardia degli equilibri di bilancio esercizio 2010
Siamo al surreale. Aggettivo usato durante la discussione di questo punto.
Entro il 30 settembre tutte le amministrazioni comunali hanno l’obbligo, per legge, di presentarsi in consiglio comunale per la verifica dello stato di attuazione dei programmi e la verifica della salvaguardia di bilancio, ma nel nostro comune no …
si presenta dopo 60 giorni (il 30 novembre) con i dati al 30 settembre.

Si scopre che tutti gli atti, preparati dagli uffici, erano pronti il 17 settembre, … quindi non è colpa degli uffici e allora…

il consigliere Rosada chiede perché il consiglio comunale non sia stato convocato entro il 30 settembre, il sindaco dà la parola al segretario, il qua
le è in evidente imbarazzo, borbotta qualche frase dal senso oscuro poi sotto voce bofonchia «non è il segretario che convoca il consiglio comunale».
Segue qualche scaramuccia, il cui unico risultato è quello di scuotere dal torpore pre-sonno alcuni consiglieri della maggioranza, gente che fa e lavora, altro che balle..

Ma il consigliere Rosada richiede “perché il consiglio non è stato convocato entro il 30 settembre?”, il sindaco con geniale e brillante intuizione risponde “perché è stato convocato il 30 novembre”, il che dimostra che, fin lì, ci arriva pure lui!

L’aggettivo surreale ci sta un po’ stretto, non vi pare?

Vengono poste un po’ di domande, ma non c’è molto da chiarire.

Emerge invece una good news (buona notizia): i mega impianti fotovoltaici, previsti su terreni agricoli in via Belcorvo e via Mazzul non si faranno più …. meno male!!!!!!!!!

si vota.

Rosada non partecipa al voto («non si può votare sull’equilibrio di bilancio il 30 novembre con i dati del 17 settembre»), Poles e Scandolo si astengono, l’intera maggioranza è favorevole.

Punto 8 – Affidamento servizio di tesoreria approvazione schema di convenzione.
si vota

tutti favorevoli

Punto 9 – Approvazione accordo della ditta Giuditta SPA di Conegliano ai sensi art. 37 della L.R. 11/2004
Siamo al punto clou della serata, quello sul quale sarebbe stato interessante conoscere la posizione del il consigliere antoniolli, ahimè, prematuramente e sdegnosamente eclissatosi un’ora prima.
Si tratta di questo: la ditta Giuditta spa, acquista a fine 2006 un’immobile in centro a Francenigo, per il prezzo di euro 68.500, qualche giorno dopo propone la cessione al comune, visto l’interesse dell’Arcuf per quell’immobile, chiedendo in cambio un area, sempre in centro a Francenigo, che abbia la stessa capacità edificatoria.

Oggi il comune valuta quel bene 129.500,00 euro.

Un bell’affare: per il comune (ovvero tutti noi) o per il privato?

Inutile raccontare le acrobazie dialettiche del sindaco pressato dalle domande del consigliere Rosada.

Una per tutte.

Alla domanda del perché viene concessa una compensazione di uguale (si fa per dire) capacità edificatoria, quando la legge dice “adeguata”, il sindaco risponde perché è “residenziale su residenziale”, dimenticandosi (si fa sempre per dire) che l’area in questione è stata trasformata, con la variante del settembre 2009 (fatta da lui), da zona B (residenziale) a zona F 26 (festeggiamenti paesani).

Per chi abbia voglia di conoscere nei minimi dettagli questo “affare privato” cliccando qui troverà integralmente la dichiarazione di voto del consigliere Rosada che ci pare, sia cronologicamente che tecnicamente, esaustiva.

Le giuste necessità dell’Arcuf, non possono essere soddisfatte sperperando i denari dell’intera comunità a tutto vantaggio di un privato e se i dirigenti dell’Arcuf non prenderanno le distanze da questa operazione, così come è stata congegnata, se ne assumeranno una parte di responsabilità.

Che dire infine delle perizie presentate?
Carta straccia … si scrivono … si rifanno … persino due diverse all’interno dello stesso ufficio. Viene da chiedersi: esiste un senso etico per cui il funzionario pubblico, che vive con lo stipendio che gli pagano i cittadini, si senta in dovere di procedere sempre secondo la legge e non di seguire pedissequamente, e anche al di fuori della legge, questo o quell’amministratore?

A voi l’ardua (o scontata) risposta.

si vota e naturalmente tutta la maggioranza è compatta a favore.

Punto 10 – Approvazione di trasferimento della proprietà di un fabbricato rurale adibito ad attività agrituristica ai sensi della L.R. 9 del 18/04/1997.
Tutti favorevoli

Punto 11 – Concessione esterna del servizio di accertamento e di riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni periodo 01/01/2011 – 31/12/2015. Linee guida.
Tutti favorevoli

Punto 12 – Approvazione regolamento per l’alienazione dei beni immobili di proprietà comunale
Qualche richiesta di chiarimento, qualche contrarietà da parte del consigliere Poles sulle alienazioni a trattativa privata, ma alla fine tutto rimane immutato.

si vota, Poles e Scandolo sono contrari, la maggioranza è tutta favorevole

P.S. tra il punto 5 e il punto 6 il consigliere Poles scopre che nella sala consigliare appeso al muro c’è il crocifisso, ma nota però la mancanza della foto del Presidente Napolitano, provocando un’improvvisa e collettiva ricerca…
finalmente la si trova: è finita sotto lo schermo per le proiezioni, da dove solerte il messo comunale la recupera tentando quindi di appenderla in qualche posto … di qua … di là…

ma non ci riesce e così finisce su di un tavolo (chissà se con la faccia in su o in giù?);

qualche sorrisino di compiaciuta soddisfazione di alcuni componenti della maggioranza per la mancata esposizione dimostra una volta di più quanto sia considerato il presidente di tutti gli italiani.

Questa la seduta e tutto questo è gran parte di quanto è successo.
Ai concittadini del nostro comune ricordiamo che Luigi Einaudi, economista, pubblicista, uomo politico e 2° Presidente della Repubblica Italiana disse:

«Conoscere per deliberare»
e questa modestissima cronaca a questo vuol servire.

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Sabato: La carriola, la “wheelbarrow” usata nei cantieri edili in Australia

Tutt’oggi la classica gru che vediamo dalle nostre parti non viene usata nei cantieri edili australiani per costruire palazzi fino a otto piani di altezza. Al massimo l’impresario mette a disposizione un montacarichi per tutte le ditte, alle quali poi verrà dedotto il costo per l’uso dello stesso. Ora: per posare il “concrete”, leggi calcestruzzo, ci sono le pompe introdotte all’inizio degli anni ’70 (da notare che il primo a introdurre questa tecnica in Sydney è stato un nostro noto paesano), ma fino ad allora si usava l’hoist, leggi montacarichi.
Un montacarichi mobile che si spostava anche due volte al giorno, apparteneva al “concrete contrators”, (leggi azienda specializzata a posare o a lavorare il calcestruzzo a contratto, cioè a un prezzo fisso dato in precedenza per metro cubo; metodo usato per il 95% dei lavori, in poche parole a cottimo).
Il calcestruzzo veniva poi distribuito sulla soletta tramite la carriola.
Ora, immaginate che ci vogliono 12 – 13 carriole (australiane) per
fare 1m³ di concrete, quasi 200 kg da trasportare in bilico su tavoloni larghi 25-30 cm, sospesi su cavalletti sopra il ferro di rinforzo, o per aria tra i cumuli scavati delle fondazioni.
30, 50, 100 o più m³ al giorno.
Quando per la prima volta si vedono questi operai andare avanti e indietro, e ancora avanti-indietro per centinaia di volte, le reazioni sono estreme: o chi ha inventato il “si
stema” è un pazzo, e loro pure lo sono, oppure in qualche maniera essi prendono il lavoro come una giostra di divertimento…
ma vi assicuro le cose non stanno proprio così.
Sotto un sole cocente, oppure sotto un dirotto acquazzone, la carriola deve sputar fuori il suo carico prezioso, e più veloce lo fà e meglio è per tutti. Spingere 200 Kg con un passo di marcia su un tavolone traballante, con magari quello che segue che ti invoglia a fare più veloce, svuotarla facendo perno su te stesso, girarti e ripartire senza cadere, non è per niente facile. Si dirà che è tutta pratica, ma provare per credere.
Situazione da gironi danteschi.
Anche dopo mesi o anni, alla sera rincaseranno vuoti e stanchi, molto stanchi.
Anche per questo meritano più rispetto.

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Venerdì: Dal treno in partenza veder scomparire l’insegna di Sacile

Di tutti i “pensierini” fin qui riportati, questo è quello che meglio descrive circostanze particolarmente interessanti e personalmente vissute. Ma sono oltretutto sicuro che altre centinaia, per non dire migliaia di giovani o più adulti emigranti, chi più chi meno, hanno condiviso la stessa esperienza. Pertanto i destinatari e coloro che hanno l’occasione di leggere queste “note”, mi devono scusare per il mio ardire nel raccontare di stati d’animo e fatti vissuti personalmente molto tempo fa, ma vi assicuro che questa è un’ottima occasione per dimostrare di che cosa l’emigrazione è anche fatta.
In sostanza essa è articolata in due gruppi di sentimenti che nel più dei casi si scontrano fra loro.
Il primo che tutti conosciamo è quello della volontà di migliorare le proprie condizioni, del coraggio, dello spirito di responsabilità per cui si decide di “partire”.
Il secondo invece, il meno con
osciuto (perché l’orgoglio frena di parlarne apertamente), è quello fatto di sentimenti come: la nostalgia di tutto ciò che lasci, la paura di non farcela, di incertezze ecc.
Fattori che più di ogni altra cosa marcano la vita di chi lascia il proprio paese.
La prima volta che vidi la scritta “Sacile” alla stazione ferroviaria della cittadina, è stato l’anno successivo la scomparsa del povero papà, avevo tredici anni e (per cambiar aria durante le vacanze estive), avevo preso da solo la famosa “Littorina” per andare a Fanna ospite da una zia. Poi ho continuato a vederla ogni giorno durante il tragitto che per tre anni facevo in bicicletta per raggiungere l’Istituto Professionale di Sacile, ma fino qui tutto normale, era una comune indicazione di località.
Tutto cambia invece alla prima partenza per la Svizzera.
Quel viaggio voleva dire lasciar tutto quello che possiedi e conosci per l’incognito. A cavallo degli anni cinquanta – sessanta il boom economico era già iniziato, ma ugualmente si continuava a emigrare per il semplice fatto che “era consuetudine farlo”.
Una gioventù molto intensa: la scuola, la famiglia che ti ama e che ami, il lavoro che piace e che prospettava un ottimo futuro, frequentare le funzioni religiose, il posto di mediano sinistro nella squadra di calcio, il gioco del calcetto che andava alla grande, il sano divertimento fra amici, la ragazza, eh sì anche la ragazza.
Tutto questo si rifletteva su quella scritta che tutto ad un tratto appariva come l’espressione più genuina di tutto ciò che stai per abbandonare, ma che dal finestrino del treno irreparabilmente vedevi sparire all’orizzonte. Inaspettatamente un nodo prende la gola, la testa gira e la vista si ann
ebbia, all’improvviso capisci che la gioventù non c’è più, è rimasta là, attaccata, abbandonata a quella insegna di stazione.
Stazione come punto di arrivo, ma purtroppo prima ancora: come punto di partenza.
Il distacco troncava tutto, e un’ altra vita, che solo sapevi sarebbe stata “più dura sotto tutti i punti di vista”, stava per iniziare. A quei tempi partire voleva dire “chiudere con il passato”, l’era dell’internet e del consumismo fatto di voli low-cost, autostrade, telefonini, sms, e-mail, o treni ad alta velocità era ancora molto lontana, si partiva pensando solo di guadagnare, risparmiare e spedire soldi a casa; sperando, ma con la sola consapevolezza che il ritorno (se c’era un ritorno), sarebbe venuto solo dopo diversi mesi o anni e con l’illusione, ma falsa, che il mondo che stavi lasciando rimanesse uguale.
Momenti molto difficili da sopportare e per certi versi anche inaspettati.
Anche per questo chi è partito merita più rispetto.

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Giovedì: Internati nei campi di concentramento

Anche tra le due guerre, molti Trevisani spinti dalla miseria che da sempre regnava nella nostra bella Marca cercavano fortuna nei Nuovi Mondi. Passata la grande crisi a cavallo degli anni ’20-’30, di lavoro ce n’era molto da quelle parti. Ma a quei tempi la meccanizzazione vera e propria doveva ancora svilupparsi, pertanto come al solito molti dei lavori più pesanti e pericolosi restavano da fare agli stranieri.
E allora giù a fare turni massacranti negli altiforni: con che prevenzione e sicurezza sul lavoro potesse esistere in quei tempi, lo si può immaginare!
A disboscare boschi estesi a perdita d’occhio: la scure, il piccone, il fuoco e i buoi da traino erano i loro attrezzi. Serpenti, colonie di zanzare, erti dirupi, acquitrini; una tenda per la notte e lo scarso cibo, era il loro abitare.
Sempre con condizioni al limite: a scavare gallerie, costruire strade, ponti e dighe.
Bonificare immense aree per preparare il terreno alle grandi
piantagioni.
Ecc. ecc.
Ma tutto ciò non è bastato per fare di loro degli affidati, onesti e rispettati cittadini davanti la legge.
No.

Scoppiata la seconda guerra mondiale questi signori sono stati caricati su camion e portati nei campi di concentramento per tutta la durata del conflitto. Erano dei potenziali nemici e come tali dovevano essere trattati.
Che umiliazione.
Gente buona, sana dentro, che si guadagnava il pane “a tutti calli”, trattata in quella maniera per eventi che accadevano migliaia di miglia lontano. Restrizioni, umiliazioni emotive che ti possono rompere dentro per sempre.
Ma non è finita lì: visto da che parte ha finito di trovarsi l’Italia alla fine delle ostilità, gli Italiani di quelle parti sono stati additati pure come traditori, con tutte le conseguenze materiali ed altro che questo comportava.

E i Tedeschi? Loro no!
La Germania era rimasta fedele fino alla fine al suo Reich. Purtroppo anche qualche nostro concittadino ha vissuto quelle esperienze così drammatiche!
Anche per questo meritano più rispetto.

Noi pure emigranti degli anni ’60, abbiamo sperimentato certe situazioni non proprio idilliache a proposito.
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Mercoledì: La scelta di vivere in condizioni precarie

Fare anche l’assurdo per risparmiare e spedire a casa più danaro possibile.
Questo è il movente, il motivo conduttore che fa dell’emigrante il campione dei sacrifici, e parte di ciò è la scelta di come e dove abitare. Sempre per risparmiare,
succedeva quindi che diversi paesani ancora prima di partire si accordavano per andare ad abitare assieme; amici con amici, sorelle con sorelle, fratelli con fratelli, fratelli con sorelle, giovani coppie ecc.
Arrivati sul posto, dunque, già sapevano con chi si sarebbe condiviso la maggior parte del tempo rimasto libero dopo lavoro. Certamente il letto assegnato a fianco a quello dell’amico, o del fratello, o in certi casi a quello della sorella, sembrava la migliore soluzione possibile.
Se poi quella cameretta faceva parte di un appartamento composto di altre camere che disponevano più o meno le stesse condizioni, e il tutto servito da un solo bagno e da un cucinino dove al massimo c’era spazio da sedere per tre persone, veramente non era il caso di reclamare, anzi pensavano: si starà un po’ stretti, ma trovarsi lontani da casa, è anche una fortuna ad essere attorniati da così tanta brava gente, e con un po’ di organizzazione tutto si sarebbe risolto.
Purtroppo in molti casi la sola organizzazione non bastava per tirar avanti lietamente.
Porta pazienza, sopporta, per un quieto vivere cerca di andar d’accordo; erano detti quotidianamente diffusi nei tempi passati e in quei momenti l’emigrante per forza maggiore doveva farne buon uso.
L’esperienza aveva insegnato che in questi nuclei le persone potevano sì condividere lo spazio comunitario, ma non quello che c’era dentro. Mobili, vettovaglie, cibo: tutto doveva essere separato, al massimo con il socio di camera si poteva condividere la spesa; ognuno era responsabile di quello che usava e quindi doveva possederlo.

Dopodiché tutto si basava su turni che fiscalmente (non all’italiana) si doveva osservare: fare il bucato, lavarsi, cucinare, mangiare ( se si era in troppi per consumare i pasti si usava anche la propria camera), lavare i piatti, far pulizia, e per ultimo, ma non per questo il meno importante, usare i servizi per i bisogni fisiologici (beati coloro che possedevano un doppio servizio); ogni piccola entità doveva rispettare quella che veniva dopo.
Due, tre, anche quattro turni, mattino e sera per settimane, mesi e qualche volta anni!
Solo il pranzo della Domenica molte volte veniva condiviso tutti assieme.
All’inizio tutto funziona bene, ma poi subentra le routine di doversi abituare a un sistema così inconsueto. È facile da immaginare dunque come sia normale che, in quelle condizioni, l’ambiente cominciasse a degenerare e l’aria a farsi pesante (da tenere presente pure l’eventuale problema personale riguardante il lavoro o altro che ognuno si portava appresso).

Qualche parola in più buttata lì, qualche screzio, frasi dette senza malignità ma mal interpretate, scherzetti non accettati, piccoli attriti, incomprensioni, dissensi, sospetti, gelosie.

Ecco allora che la forzata collaborazione è sintomo di insofferenza, di ostacolo, di intralcio.
Il risultato di scontri pesanti qualche volta era l’allontanamento di qualcuno dal gruppo, ma il più delle volte provavano a ricominciare da capo. In nome “del risparmiare per forza” cercavano ancora la collaborazione alla bene meglio.
Ma quanto tutto questo ha pesato negativamente sul forgiare lo spirito di quei emigranti, è incalcolabile: frustrazioni, antipatie, malumori, delusioni, maleducazione, cattiverie, malignità, perdita di amicizie.

Anche per questo meritano più rispetto.

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MARTEDÌ: Perché disertare il servizio militare

“I fuggiaschi”: Si possono chiamare così i molti giovani che dalla fine degli anni ’50 emigravano specialmente in Europa con l’idea di non fare il militare. Un dovere verso lo Stato quasi sempre ritenuto superfluo, irrilevante per la carriera di un giovane, ma soprattutto l’inopportuna perdita di guadagno. Appena usciti dalla guerra, la povertà che ancora dilagava dalle nostre parti, spingeva molti giovani ad emigrare per il miraggio del guadagno sicuro.
Però c’era un ma: chi sfuggiva al servizio militare non poteva più ritornare in Patria fino all’età di ventinove anni, salvo permesso dei Carabinieri per un periodo di qualche settimana.

Nove – dieci anni lontani da casa.
Per molti è stato un vero disastro.
Certi, con dei caratteri aperti portati all’integrazione, sostenuti da un menefreghismo sano (inteso in maniera positiva), dalla compagnia di buone amicizie, dalle Missioni Cattoliche (appositamente create per sopperire al bisogno spirituale di centinaia di migliaia di migranti sparsi nell’intero Continente e oltre oceano), e da altro ancora ce l’hanno fatta!
Per gli altri invece è stato un vero e proprio calvario: la barriera della lingua per cui non potevano esprimere liberamente i propri bisogni, siano stati essi di natura morale o materiale, dava loro sensazioni desolanti.
Ma ancora più insopportabile erano: la nostalgia per la terra natia, il martellante pensiero di avere i propri famigliari così lontani, la mancanza del desiderato
sopporto emanato dalla calda atmosfera del proprio focolare, la mancanza dei consigli dei genitori, la mancanza della confortante e fidabile presenza di amici paesani, per non parlare della morosa (che magari aspetta!), ma così lontana dalle braccia desiderose di stringerla fra loro così appassionatamente.
Purtroppo tutto ciò alla fine creava un cocktail di esplosiva negatività.
In risposta: anche dalle nostre campagne sono partiti parte di quelle centinaia di giovani volenterosi e pieni di vita che non ce l’hanno fatta, ma che si son lasciati attrarre dal vortice delle brutte compagnie, alcool, prostituzione, giochi d’azzardo, danaro facile, ecc.
Affossati, persi, spariti.
Anche loro meritano più rispetto.

Conosciuti diversi personalmente
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LUNEDÌ: I raccoglitori della canna da zucchero nel nord dell’Australia

Solo dalla metà degli anni ’60 venne introdotta la motorizzazione per la raccolta della canna da zucchero, prima veniva fatta tutta a mano.
Anche diversi paesani fra le due guerre, e molti Trevisani dopo, hanno fatto questo pesantissimo lavoro come stagionale.
Le grandi piantagioni di canna vengono coltivate al nord dello stato del Queensland, dove le temperature in alta stagione si avvicinano più ai 40° che ai 30°, e con l’umidità costante sopra il 90%, una combinazione che gli Australiani chiamano
“steaming heat” difficile da tradurre, letteralmente: “caldo che ti evapora”.
Raggiunto il momento della raccolta (che può durare mesi), a
queste immense piantagioni di graminacee – con fusti che possono arrivare oltre i 4 metri di altezza – di notte veniva appiccicato il fuoco.
Dovevano bruciare per due essenziali motivi: il primo era per far scappare o ammazzare quei serpenti ultra velenosi che, vivendo in quelle regioni, certamente nidificavano fra le canne. Il secondo era per alleggerire il carico di lavoro, si bruciava tutto il superfluo, foglie e quant’altro, rimaneva la canna ancora calda, appiccicosa e affumicata, ma più leggera.

Dall’alba fino al tramonto, erano le loro “otto ore” lavorative, usavano un coltellaccio che assomigliava alla classica falce del “manifesto”, ma molto più pesante. Tagliare e fare fasci, stare attenti a qualche serpente ancora vivo, tagliare e fare fasci. Raccogliere quei fasci e, con l’aiuto anche di scale, caricarli sui carri. Poco importa quanto sono pesanti, appiccicosi, o con qualche foglia ancora tagliente che rasa braccia e viso.
Dato che era un lavoro massacrante, svolto sotto un sole cocente, con un’umidità che tutto appesantiva, si può pensare che i movimenti di questi “uomini” fossero lenti, portati al risparmio di energie, pensando al domani che sarà uguale!
Errore: i padroni sapevano bene di che stampo erano fatti queste
macchine viventi. Il lavoro era dato a cottimo: più raccoglievano più guadagnavano, più guadagnava (e la macchina vivente sperava) più presto i sogni si sarebbero avverati. Sudare sangue era il solo drammatico destino che si aspettavano in quegli anni.
Anche per questo, meritano più rispetto.

Conosciuto qualcuno di loro personalmente quando in bassa stagione venivano a Sydney a lavorare nei cantieri edili a spingere la carriola o scavare fondazioni.
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